sabato 24 ottobre 2015


A VOLTE, LA POESIA…


Sì, a volte la poesia vede un po’ più in là della miopia della politica, riesce a intravedere 
e a cogliere i segnali del tempo,
riesce a leggere la realtà senza gli occhiali della dimenticanza 
o il cannocchiale della burocrazia o la  presbiopia della diplomazia…
a volte solo la poesia ha il coraggio della verità!
I poeti non sono politologi né sono profeti,
i poeti fanno parte del popolo comune e vivono con il popolo comune
 e ascoltano, ascoltano e scrivono non parole… ma emozioni,
dipingono non scene ma sentimenti,
estraggono pensieri, curano disagi, disinfettano ferite…
si occupano del popolo e scolpiscono i volti del popolo:
il volto della fame, della sofferenza, della preoccupazione,
della paura del futuro… o forse già anche quella del presente!
Un presente che già s’indovina nello scrutare gli sguardi e nel sentire il palpitare dei cuori che temono l’impensabile… temono per la vita, per i figli, per il Paese tutto, per la pace… che si desidera, si spera, si chiede… ma la si avverte sempre più lontana… fino a sfuggire alle loro mani tese, ai loro sogni sempre più simili ad incubi!
Ecco… la poesia ascolta, guarda, accoglie e… dice… dice la verità sul mondo, racconta la realtà senza veli e senza veti…
uno specchio che non deforma,
 ma che nel riflesso che rimanda c’è già… il futuro che avanza!

Dico questo perché nel leggere un articolo, del mese scorso, su Avvenire, un giornalista, Davide Rondoni, raccontava di un festival, raccontava di un esodo annunciato, raccontava già… dei bambini che non ci sarebbero stati più… raccontava delle case distrutte e … dei fiumi di lacrime che si sarebbero potuti evitare… e della sofferenza in meno che si sarebbe potuta risparmiare ad un popolo di sopravvissuti, in fuga verso un mondo che non li vuole… che sbarra i confini… che abbandona i popoli nel bisogno e … finge un dolore che non c’è per il corpo di un bambino travolto e poi cullato dalle onde che lo depongono, come uno straccio, sulla sabbia bagnata di un Continente
 che vive solo per sé…
Un mondo che piange la morte di un solo bambino e lascia che altri centomila facciano la sua stessa fine, restando immobile dietro lo schermo, in attesa di…
Un mondo avido di scene di orrore che ama collezionare
come un maniaco fa con i corpi delle sue vittime!

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(da Avvenire 16 settembre 2015)
EMERGENZA DI OGGI?
GIA' SI CAPIVA ANNI FA
‘’ L’impressione di essere stati presi in giro è amara.
Ora giornali e tv straripano di immagini e notizie sui profughi.
Straripano come straripano i barconi, i treni, come le stazioni. Ne straripano pure le dichiarazioni di politici, di programmi di organismi internazionali, le indignazioni, le messeinscene. Tutti spiazzati di fronte alla grande emergenza. Ma quattro anni fa, sì, quattro anni fa, mi bastò andare, invitato a un festival di poesia in Siria, a Damasco, per capire che cosa sarebbe successo. Tutti gli artisti lì presenti – poeti, pittori, scultori – erano preoccupati.
Stavano iniziando i primi conflitti nel nord del Paese.
 E mormoravano ‘’Certo Assad è un dittatore, ma quelli che vogliono il suo posto sono peggio. 
Almeno ora si vive e si convive,
poi chissà, noi scapperemo…’’
A parlare così erano poeti, artisti, amanti della libertà.
Gente che amava anche la vita reale del suo popolo. Ed erano tesi.
‘’Primavera araba’’ ci raccontavano gli stessi media e gli stessi rappresentanti e portavoce di istituzioni internazionali che oggi parlano di esilio, di esodo, di emergenza.
Ma, appunto, bastava andare a un festival di poesia, per capire come stavano veramente le cose. Bastava andare dopo le letture al ristorante a chiacchierare a cena. In quella occasione scrissi pure una poesia, dove si parlava di un bambino, accucciato, sporco e povero vicino a una porta della città. Gli lasciai in regalo, come una sperduta supplica di protezione, un piccolo Gesù comprato nella vicina casa di Ananìa.
Ora i bambini siriani hanno commosso il mondo, ma allora, dov’erano le diplomazie, gli osservatori, coloro che hanno il compito di osservare, capire, intervenire?
Mentre io come altri vedevamo in che direzione di esodo e di schianto si stava andando e non per doti profetiche, ma solo chiacchierando con artisti e poeti, dove si aggiravano invece diplomatici e osservatori, giornalisti e ministri?
Dalle loro stanze non si vedeva nulla?
O non volevano vedere, forse dovevano fare finta di non vedere?
 La poesia che riporto è del 2011. Queste parole mi sono tornate in mente, le ho ritirate fuori dalle bozze di un libro che sta lentamente nascendo, quasi per rabbia dinanzi alle giravolte, alle ipocrisie, alla mancanza di una vera responsabilità di questa strana cosa
chiamata Europa.

‘’Damasco. Il cielo si è stretto nei vicoli,
tra i gatti,
uomini seduti da secoli,
si spaccano le chiese ferite,
il bambino, non lavato, scalzo, accucciato a Bab-sarqui
forse si chiede perché con due monete
gli dò un piccolo rosario con un Gesuino appeso
preso dalla casa di Ananìa,
lo afferra
è il gesto più sconcio,
impotente e glorioso che ci sia.
A Nord lo stato islamico sta iniziando la guerra.’’

Se lo sapevano i poeti di un festival di Damasco che le cose prendevano questa piega, come mai l’Europa si è trovata impreparata?
Ora si sono messi a parlare di emergenza, sbattono i profughi da un posto all’altro, da un servizio tv all’altro.
Ma l’emergenza è davvero un’altra.
È metter fine all’ipocrisia, alla presa in giro, metter fine alla finta informazione e alla finta politica che prende in giro le persone
e i cuori delle persone.
Perché è vero che spesso i poeti preavvertono i cambi di epoca, i cambi del vento. Ma questa volta non si trattava di strane visioni o profezie.
Si trattava di guardare e di ascoltare davvero.
Di avere uno sguardo nitido, libero, come spesso fanno gli artisti sul mondo. Ci fosse stato questo sguardo non solo tra gli artisti (che pur hanno gridato il loro allarme), ma anche tra i diplomatici e i capi della politica, quanta sofferenza in meno,
quanti bambini in meno da piangere…
(Davide Rondoni)

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Sì… la poesia aveva già letto nel cuore dei bambini il loro  pianto
e lo aveva urlato ad un mondo che…
nella sua indifferenza
vi aveva riso sopra…
poi, come se niente fosse,
ha fatto delle loro lacrime…
uno spettacolo televisivo
portandoli da un capo all’altro del mondo
come gli scalpi che… un tempo, gli indiani…
esponevano sui pali
come trofei di guerra
perché tutti potessero vedere il valore… il coraggio… lo scoop!
I corpi senza vita, nelle bare affilate sulle spiagge,
sono solo degli scoop…
ma almeno loro, i giornalisti, fanno solo il loro dovere,
raccontano quel che è accaduto…
i politici, invece, i diplomatici, i grandi Organismi Internazionali,
gli addetti all’osservazione dei cambiamenti sociali, militari e civili …
dovrebbero fare i conti con quello che potrebbe accadere…
per evitare il peggio…
invece… sanno, vedono, capiscono… e lasciano che sia!
E lasciano che i morti piangano i morti
e i bambini piangano le madri… e le madri piangano i figli…
e il mondo vada oltre… inciampando tra i cadaveri…
speculando sui profughi…
guadagnando dai reportage sui profughi alle frontiere…
mettendo lo sgambetto ad un padre che porta in braccio suo figlio,
affamato e stanco e smarrito e ferito dal filo spinato
che impedisce il suo futuro…
stando in poltrona… guardando il mondo che soffre…
come una telenovela il cui finale è già scritto…
ma che tutti fanno finta di non sapere!

Tutto questo perché…
la poltrona è comoda… le mani in pasta… un po’ meno!!!

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