giovedì 16 gennaio 2014

 
GLORY ROAD
ovvero
VINCERE CAMBIA TUTTO
 
Ieri su Rai Tre ho visto un film che dovrebbe essere mandato in onda a ripetizione, almeno una volta al giorno, per un tempo indeterminato, proprio come una cura farmacologica contro un male per il quale ancora non sono stati trovati antidoti validi e duraturi: il razzismo.

Il razzismo è una malattia vera e propria; la definiscono una fobìa e le fobìe sono malattie non facile da debellare, perché sono radicate non nel corpo ma nell’anima, nelle coscienze, nelle ideologie, nelle paure che ci si porta dentro come eredità collettiva; è una fobìa radicata nella coscienza collettiva di tutti i popoli, ce la si porta dietro come bagaglio ereditario, è entrata a far parte del DNA di ogni popolo e pertanto neanche la ricerca genetica  ha molte speranze di poter trovare una risposta farmacologica che ci aiuti a superare questa nostra ‘’fragilità’’.

La chiamo fragilità perché il razzismo è una debolezza umana, una difficoltà della coscienza, un limite del pensiero, una povertà dello spirito, una sconfitta del Cuore.

La paura dell’altro è sempre una sconfitta per l’uomo, perché non riesce a vedere oltre ciò che i suoi occhi gli rimandano, oltre ciò che l’immediatezza dei suoi sensi gli dice.

E che cosa dicono i sensi?

Le risposte sensoriali sono molto rapide, più rapide dell’azione del pensiero stesso, esse mandano al cervello alcuni dati fondamentali e su di essi il pensiero costruisce le sue risposte ideologiche: quando stiamo davanti ad una persona, la prima cosa che ci colpisce è il suo volto: il suo colore, i suoi occhi, i lineamenti del suo viso, la lingua con la quale si esprime… tutto ciò che è tangibile… questi dati inviati al pensiero fanno sì che venga elaborata una risposta che sarà positiva o negativa a secondo se ciò che abbiamo davanti a noi ci piace o meno.

Quando ci si trova davanti a qualcuno diverso da sé, ecco che la risposta che viene elaborata, attingendo ad un inconscio collettivo, che affonda le radici in millenni di Storia caratterizzata da lotte di ogni genere, la risposta, dicevo, viene caricata di paure, timori, pregiudizi, preconcetti, emozioni e sentimenti che rivestono l’immagine della persona che ho di fronte di un ‘’abito’’ che non c’entra niente con la realtà, ma che è semplicemente frutto di un’associazione mentale che non mi dà la dimensione reale, ma me la tinge con sfumature che sfuggono al mio controllo razionale, mi fanno salire dall’inconscio fobìe non mie, che diventano mie per un’appartenenza ad un popolo che ha vissuto le sue esperienze storiche in un certo modo.

Cosa voglio dire con tutto questo?

Voglio solo dire che non sempre siamo liberi di pensare davvero con la nostra testa e con il nostro cuore; i condizionamenti socio-storici influenzano la nostra coscienza più di quanto noi immaginiamo, così il risultato è questo: ieri ho sentito alla televisione due notizie, l’una l’opposta dell’altra, la differenza l’ha fatta la posizione mentale delle persone coinvolte!

Vi racconto…

Al telegiornale danno la notizia di un gruppo di extracomunitari sorpresi dalla polizia mentre nascondevano la droga nel cortile di una scuola.

La notizia rientra nella cronaca quotidiana: spacciatori e drogati sono all’opera tutti i giorni, sotto gli occhi di tutti, sotto le case di tutti; gli spacciatori non hanno colore: sono di ogni razza e di ogni popolo, sono bianchi, neri, rossi, gialli… c’è un mondo intero che fa girare il mondo sul mercato della droga.

Il punto dove sta? Il punto è questo: la notizia degli spacciatori sorpresi e arrestati veniva dopo la notizia che si trattava di extracomunitari, cioè la notizia vera era che gli spacciatori erano di varie nazionalità africane, come a dire… ecco che cosa vengono a fare gli extracomunitari da noi!

Era una notizia in cui l’aspetto razzista superava l’aspetto giornalistico, non la semplice notizia di cronaca, ma un atto di accusa mirato!

Nessuno nega l’evidenza, è cosa risaputa che lo spaccio venga dall’estero, ma occorre ragionare su una cosa che non è affatto trascurabile: l’estero è il mondo intero, non è l’Africa soltanto!

Il problema riguarda il mondo intero, compreso quello degli uomini bianchi che, in questo campo,  non sono da meno da quelli di colore!

Allora il sottolineare una nazionalità, un colore, una provenienza equivale ad un atto di razzismo, indipendentemente dall’azione che veniva svolta, perché quell’azione poteva essere svolta da qualsiasi altra persona proveniente da chissà dove.

Ecco, dunque, cosa scatta nella nostra mente: l’atto di accusa, prima ancora che per il gesto compiuto, per il colore di coloro che lo compiono!

Questo è un ribaltare completamente la realtà!

L’atto  punivo  andava fatto per l’azione in sé, non per la loro appartenenza ad un popolo e non ad un altro!

Il giudizio mediatico, il modo come le notizie vengono proposte cambia la prospettiva da cui ogni telespettatore legge i fatti; si creano così le fobìe, perché questo porta a generalizzare i fatti accaduti e ad associare a certe categorìe delle responsabilità che non si hanno: per associazione di idee, ci si convince che tutti gli extracomunitari siano spacciatori e delinquenti!

E questo fa lievitare i disagi, le distanze, le fobìe, le paure, l’idea che è un colore a fare la differenza!

Non è così. Certo che non è così!

È ciò che c’è dentro il cuore dell’uomo che fa la differenza!

E il cuore non ha tanti colori, ma è uguale in ogni uomo.

Che lo spaccio di droga è un atto che va punito è fuori discussione, è ovvio che sia così; ma che venga associato ad una categoria escludendo tutto il resto, questa è superficialità che però genera  in chi ascolta un pensiero deformato.

Il nostro modo di esprimerci fa la differenza!

Possiamo dire la stessa verità in tanti modi diversi, a secondo del taglio che si intende dare: la stessa notizia assume toni razzisti se viene detta in un modo anziché in un altro e ciò non è indifferente, perché contribuisce a formare quell’inconscio collettivo che poi risponderà agli stimoli esterni in un modo anziché in un altro.

A riprova di tutto questo, vi riporto l’altra esperienza ...

Nella stessa giornata di ieri, a mezzogiorno veniva data la notizia degli spacciatori africani catturati, a sera veniva mandato in onda un film dal titolo ‘’Glory road ovvero VINCERE CAMBIA TUTTO’’; due situazioni diverse, ma con un messaggio identico, la differenza l’ha fatta la prospettiva mentale dei protagonisti.

Il film era ispirato ad un fatto reale, accaduto negli Stati Uniti alcuni anni fa, una straordinaria avventura che cambiò la storia del basket americano per sempre: un allenatore di pallacanestro ‘’un bianco’’, si mette alla ricerca di giovani talenti per organizzare una squadra che potesse risollevare le sorti di una Università che stava perdendo colpi in questo settore.

Ne trovò alcuni molto bravi… ma quasi tutti di colore.

Quando invita uno di loro a far parte della squadra, questi si rifiuta perchè pensa che lo stia prendendo in giro: nell’America di alcuni anni fa non era normale che un uomo bianco invitasse un uomo nero a far parte di una squadra universitaria per giocare il campionato nazionale!

L’allenatore risponde con una schiettezza e una semplicità così disarmante che il ragazzo accetta, gli dice, infatti: ‘’Io non vedo un colore, io vedo rapidità e tecnica, vedo la passione per la pallacanestro e questo mi basta’’.

Ecco dove sta la differenza: in cosa noi vediamo!

Se sappiamo andare oltre l’immediatezza e leggere il talento, e leggere la passione, leggere le capacità che ognuno di noi si porta dentro e che non aspettano altro che qualcuno ci aiuti a tirarle fuori.

Così la squadra di ragazzi neri viene allenata duramente da questo allenatore e comincia a vincere davvero, contro squadre di ragazzi bianchi e ciò sconvolge il modo di pensare di tante persone appartenenti al mondo universitario che non accettano la sconfitta da parte di un gruppo di africani senza studi e senza speranza di vita.

Così cominciano a minacciare sia la famiglia dell’allenatore che i giocatori stessi, imbrattando di sangue le loro stanze, picchiandoli a sangue, mandando lettere minatorie.

I giovani giocatori si scoraggiano, non hanno più la spinta emotiva per giocare, vorrebbero abbandonare, hanno capito che la partita vera è un’altra: è la partita della vita quella che rischiano di perdere; si sentono offesi nella loro dignità, privati della loro libertà, maltrattati nella loro umanità.

Nell’ultima partita che avrebbe segnato la vincita del campionato nazionale loro si lasciano andare e non giocano con la passione di sempre. Credono di essere già stati sconfitti su un campo ben più importante che è quello della Vita.

Il non essere accettati è ben più grave di una partita di pallacanestro finita male.

Demotivati, quindi, non fanno un gioco di squadra e sono vicini alla sconfitta da parte della squadra avversaria che invece gioca duro, perché sarebbe una vergogna per loro essere sconfitti da una squadra di africani.

Ma il loro allenatore ha fiducia in loro, scuote il loro cuore, li rianima letteralmente, li rimette in piedi, ridà loro dignità di persone prima ancora che di giocatori e negli ultimi minuti i risultati vengono ribaltati e loro vincono, vincono una doppia partita: quella del basket che cambierà la storia americana e quella della vita che cambierà la storia degli americani, molti di loro diventeranno allenatori a loro volta e segneranno tanti successi con i loro ragazzi ‘’di strada’’, talenti sconosciuti ai quali verrà data un’opportunità di riscatto e di realizzazione di se stessi, nonostante il colore che si portano addosso.

Una vittoria per loro che non ha prezzo.

Ecco allora che ‘’vincere cambia tutto’’, hanno giocato ed hanno vinto e il modo di essere guardati dal mondo è cambiato: sono diventati dei campioni nazionali e questo ha fatto dimenticare il loro colore!

Erano gli stessi ragazzi che erano stati picchiati a causa del loro colore, ma erano ora diventati l’orgoglio nazionale e questo superava anche tutte le fobìe e i razzismi che li avevano perseguitati per l’intero campionato!

Come cambia la visione del mondo!

È impressionante come ci facciamo guidare dai nostri sentimenti o dai nostri risentimenti!

I nostri comportamenti cambiano repentinamente a secondo delle situazioni e ci fanno lodare o condannare la stessa persona in base a ciò che ci piace o non ci piace, che ci sta bene o che non ci sta bene!

Oh, benedetta natura umana!

La nostra suscettibilità supera la ragione, la coscienza, il pensiero… e ci fa diventare razzisti o meno a seconda di ciò che riusciamo a leggere intorno a noi!

Forse dovremmo essere un po’ più riflessivi anziché terribilmente impulsivi!

Leggiamo le cose con giustezza, CON SENSILIBILITA' e NON CON SENSORIALITA', scopriremo che la vita avrà più gusto, perché dove c’è la varietà… lì...  è tutto un altro sapore!

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