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GLORY ROAD
ovvero
VINCERE CAMBIA TUTTO
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Ieri su Rai
Tre ho visto un film che dovrebbe essere mandato in onda a ripetizione, almeno una
volta al giorno, per un tempo indeterminato, proprio come una cura farmacologica
contro un male per il quale ancora non sono stati trovati antidoti validi e duraturi: il
razzismo.
Il razzismo
è una malattia vera e propria; la definiscono una fobìa e le fobìe sono
malattie non facile da debellare, perché sono radicate non nel corpo ma nell’anima,
nelle coscienze, nelle ideologie, nelle paure che ci si porta dentro come
eredità collettiva; è una fobìa radicata nella coscienza collettiva di tutti i
popoli, ce la si porta dietro come bagaglio ereditario, è entrata a far parte
del DNA di ogni popolo e pertanto neanche la ricerca genetica ha molte speranze di poter trovare una
risposta farmacologica che ci aiuti a superare questa nostra ‘’fragilità’’.
La chiamo
fragilità perché il razzismo è una debolezza umana, una difficoltà della
coscienza, un limite del pensiero, una povertà dello spirito, una sconfitta del
Cuore.
La paura
dell’altro è sempre una sconfitta per l’uomo, perché non riesce a vedere oltre
ciò che i suoi occhi gli rimandano, oltre ciò che l’immediatezza dei suoi sensi
gli dice.
E che cosa
dicono i sensi?
Le risposte
sensoriali sono molto rapide, più rapide dell’azione del pensiero stesso, esse mandano al cervello alcuni dati fondamentali e su
di essi il pensiero costruisce le sue risposte ideologiche: quando stiamo
davanti ad una persona, la prima cosa che ci colpisce è il suo volto: il suo
colore, i suoi occhi, i lineamenti del suo viso, la lingua con la quale si
esprime… tutto ciò che è tangibile… questi dati inviati al pensiero fanno sì
che venga elaborata una risposta che sarà positiva o negativa a secondo se ciò
che abbiamo davanti a noi ci piace o meno.
Quando ci si
trova davanti a qualcuno diverso da sé, ecco che la risposta che viene
elaborata, attingendo ad un inconscio collettivo, che affonda le radici in
millenni di Storia caratterizzata da lotte di ogni genere, la risposta, dicevo,
viene caricata di paure, timori, pregiudizi, preconcetti, emozioni e sentimenti
che rivestono l’immagine della persona che ho di fronte di un ‘’abito’’ che non
c’entra niente con la realtà, ma che è semplicemente frutto di un’associazione
mentale che non mi dà la dimensione reale, ma me la tinge con sfumature che
sfuggono al mio controllo razionale, mi fanno salire dall’inconscio fobìe non
mie, che diventano mie per un’appartenenza ad un popolo che ha vissuto le sue
esperienze storiche in un certo modo.
Cosa voglio
dire con tutto questo?
Voglio solo
dire che non sempre siamo liberi di pensare davvero con la nostra testa e con
il nostro cuore; i condizionamenti socio-storici influenzano la nostra
coscienza più di quanto noi immaginiamo, così il risultato è questo: ieri ho
sentito alla televisione due notizie, l’una l’opposta dell’altra, la differenza
l’ha fatta la posizione mentale delle persone coinvolte!
Vi racconto…
Al telegiornale
danno la notizia di un gruppo di extracomunitari sorpresi dalla
polizia mentre nascondevano la droga nel cortile di una scuola.
La notizia
rientra nella cronaca quotidiana: spacciatori e drogati sono all’opera tutti i
giorni, sotto gli occhi di tutti, sotto le case di tutti; gli spacciatori non
hanno colore: sono di ogni razza e di ogni popolo, sono bianchi, neri, rossi,
gialli… c’è un mondo intero che fa girare il mondo sul mercato della droga.
Il punto
dove sta? Il punto è questo: la notizia degli spacciatori sorpresi e arrestati
veniva dopo la notizia che si trattava di extracomunitari, cioè la notizia vera
era che gli spacciatori erano di varie nazionalità africane, come a dire… ecco
che cosa vengono a fare gli extracomunitari da noi!
Era una
notizia in cui l’aspetto razzista superava l’aspetto giornalistico, non la
semplice notizia di cronaca, ma un atto di accusa mirato!
Nessuno nega
l’evidenza, è cosa risaputa che lo spaccio venga dall’estero, ma occorre
ragionare su una cosa che non è affatto trascurabile: l’estero è il mondo
intero, non è l’Africa soltanto!
Il problema
riguarda il mondo intero, compreso quello degli uomini bianchi che, in questo campo, non sono da
meno da quelli di colore!
Allora il
sottolineare una nazionalità, un colore, una provenienza equivale ad un atto di
razzismo, indipendentemente dall’azione che veniva svolta, perché quell’azione
poteva essere svolta da qualsiasi altra persona proveniente da chissà dove.
Ecco,
dunque, cosa scatta nella nostra mente: l’atto di accusa, prima ancora che per il gesto
compiuto, per il colore di coloro che lo compiono!
Questo è un
ribaltare completamente la realtà!
L’atto punivo andava fatto per l’azione in sé, non
per la loro appartenenza ad un popolo e non ad un altro!
Il giudizio
mediatico, il modo come le notizie vengono proposte cambia la prospettiva da
cui ogni telespettatore legge i fatti; si creano così le fobìe, perché questo
porta a generalizzare i fatti accaduti e ad associare a certe categorìe delle
responsabilità che non si hanno: per associazione di idee, ci si convince che
tutti gli extracomunitari siano spacciatori e delinquenti!
E questo fa
lievitare i disagi, le distanze, le fobìe, le paure, l’idea che è un colore a
fare la differenza!
Non è così. Certo
che non è così!
È ciò che c’è
dentro il cuore dell’uomo che fa la differenza!
E il cuore
non ha tanti colori, ma è uguale in ogni uomo.
Che lo
spaccio di droga è un atto che va punito è fuori discussione, è ovvio che sia
così; ma che venga associato ad una categoria escludendo tutto il resto, questa
è superficialità che però genera in chi
ascolta un pensiero deformato.
Il nostro
modo di esprimerci fa la differenza!
Possiamo dire
la stessa verità in tanti modi diversi, a secondo del taglio che si intende
dare: la stessa notizia assume toni razzisti se viene detta in un modo anziché in
un altro e ciò non è indifferente, perché contribuisce a formare quell’inconscio
collettivo che poi risponderà agli stimoli esterni in un modo anziché in un
altro.
A riprova di
tutto questo, vi riporto l’altra esperienza ...
Nella stessa
giornata di ieri, a mezzogiorno veniva data la notizia degli spacciatori africani
catturati, a sera veniva mandato in onda un film dal titolo ‘’Glory road ovvero
VINCERE CAMBIA TUTTO’’; due situazioni diverse, ma con un messaggio identico,
la differenza l’ha fatta la prospettiva mentale dei protagonisti.
Il film era
ispirato ad un fatto reale, accaduto negli Stati Uniti alcuni anni fa, una
straordinaria avventura che cambiò la storia del basket americano per sempre:
un allenatore di pallacanestro ‘’un bianco’’, si mette alla ricerca di giovani
talenti per organizzare una squadra che potesse risollevare le sorti di una
Università che stava perdendo colpi in questo settore.
Ne trovò
alcuni molto bravi… ma quasi tutti di colore.
Quando invita
uno di loro a far parte della squadra, questi si rifiuta perchè pensa che lo
stia prendendo in giro: nell’America di alcuni anni fa non era normale che un
uomo bianco invitasse un uomo nero a far parte di una squadra universitaria per
giocare il campionato nazionale!
L’allenatore
risponde con una schiettezza e una semplicità così disarmante che il ragazzo
accetta, gli dice, infatti: ‘’Io non vedo un colore, io vedo rapidità e
tecnica, vedo la passione per la pallacanestro e questo mi basta’’.
Ecco dove
sta la differenza: in cosa noi vediamo!
Se sappiamo
andare oltre l’immediatezza e leggere il talento, e leggere la passione,
leggere le capacità che ognuno di noi si porta dentro e che non aspettano altro
che qualcuno ci aiuti a tirarle fuori.
Così la
squadra di ragazzi neri viene allenata duramente da questo allenatore e
comincia a vincere davvero, contro squadre di ragazzi bianchi e ciò sconvolge
il modo di pensare di tante persone appartenenti al mondo universitario che non
accettano la sconfitta da parte di un gruppo di africani senza studi e senza speranza
di vita.
Così cominciano
a minacciare sia la famiglia dell’allenatore che i giocatori stessi,
imbrattando di sangue le loro stanze, picchiandoli a sangue, mandando lettere
minatorie.
I giovani
giocatori si scoraggiano, non hanno più la spinta emotiva per giocare,
vorrebbero abbandonare, hanno capito che la partita vera è un’altra: è la
partita della vita quella che rischiano di perdere; si sentono offesi nella
loro dignità, privati della loro libertà, maltrattati nella loro umanità.
Nell’ultima
partita che avrebbe segnato la vincita del campionato nazionale loro si
lasciano andare e non giocano con la passione di sempre. Credono di essere già
stati sconfitti su un campo ben più importante che è quello della Vita.
Il non
essere accettati è ben più grave di una partita di pallacanestro finita male.
Demotivati,
quindi, non fanno un gioco di squadra e sono vicini alla sconfitta da parte
della squadra avversaria che invece gioca duro, perché sarebbe una vergogna per
loro essere sconfitti da una squadra di africani.
Ma il loro
allenatore ha fiducia in loro, scuote il loro cuore, li rianima letteralmente,
li rimette in piedi, ridà loro dignità di persone prima ancora che di giocatori
e negli ultimi minuti i risultati vengono ribaltati e loro vincono, vincono una
doppia partita: quella del basket che cambierà la storia americana e quella
della vita che cambierà la storia degli americani, molti di loro diventeranno
allenatori a loro volta e segneranno tanti successi con i loro ragazzi ‘’di
strada’’, talenti sconosciuti ai quali verrà data un’opportunità di riscatto e
di realizzazione di se stessi, nonostante il colore che si portano addosso.
Una vittoria
per loro che non ha prezzo.
Ecco allora
che ‘’vincere cambia tutto’’, hanno giocato ed hanno vinto e il modo di essere
guardati dal mondo è cambiato: sono diventati dei campioni nazionali e questo
ha fatto dimenticare il loro colore!
Erano gli
stessi ragazzi che erano stati picchiati a causa del loro colore, ma erano ora
diventati l’orgoglio nazionale e questo superava anche tutte le fobìe e i
razzismi che li avevano perseguitati per l’intero campionato!
Come cambia
la visione del mondo!
È impressionante
come ci facciamo guidare dai nostri sentimenti o dai nostri risentimenti!
I nostri
comportamenti cambiano repentinamente a secondo delle situazioni e ci fanno
lodare o condannare la stessa persona in base a ciò che ci piace o non ci
piace, che ci sta bene o che non ci sta bene!
Oh, benedetta
natura umana!
La nostra
suscettibilità supera la ragione, la coscienza, il pensiero… e ci fa diventare
razzisti o meno a seconda di ciò che riusciamo a leggere intorno a noi!
Forse dovremmo
essere un po’ più riflessivi anziché terribilmente impulsivi!
Leggiamo le
cose con giustezza, CON SENSILIBILITA' e NON CON SENSORIALITA', scopriremo che la
vita avrà più gusto, perché dove c’è la varietà… lì... è tutto un altro sapore!

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