venerdì 25 luglio 2014


I disperati viaggi della speranza

1 luglio 2014 – Pozzallo – Ragusa –  Migranti, altri 30 morti.
Una trentina di vittime, corpi di profughi stipati all'interno di un peschereccio morti per avere respirato monossido di carbonio e un sospetto caso di malattie infettiva che ha fatto gridare all'allarme virale letale… per precauzione, il mezzo della marina militare non entra in un porto.
    Solo gli ultimi dati che arrivano dall'emergenza migranti, che non si ferma. "Eravamo troppi, ma ci obbligavano a salire": ha negli occhi ancora la violenza dei libici che li costringevano a 'scalare' il peschereccio uno dei testimoni.
     Racconta dell'ennesima tragedia del mare alla squadra mobile della Questura di Ragusa. Di quell'imbarcazione stracarica, con le persone stipate come sardine: così quelle che si trovavano più in basso sono rimaste 'schiacciate' nella sala macchine. Non sono riuscite più a muoversi e hanno respirato il monossido di carbonio emesso dai motori, morendo per asfissia. Tutti uomini nordafricani, nessun bambino. Perché anche la nave dei migranti ha le sue 'classi sociali': i giovani neri sotto, sopra siriani, che possono pagare di più, o donne e bambini, versando un sovraprezzo. L'imbarcazione è stata trovata ieri. Dei circa 590 migranti che erano sul peschereccio 353 sono arrivati oggi a Pozzallo: tra loro tre donne in avanzato stato di gravidanza e molti bambini, compresi alcuni minorenni cullati tra le braccia dai militari della marina. Gli altri, assieme ai profughi di un altro soccorso, arriveranno domani pomeriggio nel porto del Ragusano con nave Grecale, che ha a bordo 566 persone e rimorchia il peschereccio con le salme.
    I corpi sono almeno 27, ma potrebbero essere di più. L'ennesima dramma dei viaggi della speranza si assomma a una giornata con numeri da tregenda per l'impegno nei soccorsi: le navi della marina militare inserite nel dispositivo aeronavale interforze Mare Nostrum sono state impegnate per tutto il fine settimana prestando soccorso ad oltre 5.000 migranti. E c'è anche l'emergenza scattata sul pattugliatore Orione: a bordo, con altri 389 migranti, è stato identificato un caso sospetto di malattia infettiva. Il "paziente è stato isolato" e "resta imbarcato con i medici che seguono il suo caso".
Nei giorni da grandi numeri la 'mappa' di imbarcazioni e porti diventa difficile da seguire: nave San Giorgio porta 1.170 migranti a Taranto, il pattugliatore d'altura Dattilo della Capitaneria di Porto 1.096 a Augusta (Sr), dove ha portato anche il cadavere di un migrante recuperato in mare. La rifornitrice Etna con 1.044 migranti giungerà domani a Salerno, ma con una 'passeggera' in meno: una donna che stava per partorire è stata sbarcata e ricoverata in ospedale a Siracusa. Il mercantile Mare Atlantic con 235 migranti arriva a Messina. La motovedetta della Capitaneria di Porto 906 Corsi con 341 migranti a Porto Empedocle (Ag), il mercantile City of Beirut con 105 migranti e il mercantile Ticky con a bordo 190 migranti a Trapani. Sorprende lo sbarco con veliero di 72 nordafricani lasciati sull'isola di Vendicari.

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21 luglio 2014 - Un bimbo di un anno è giunto cadavere a Messina, dove nel pomeriggio di ieri sono arrivati su una petroliera i circa quattrocento migranti soccorsi nel Canale di Sicilia su un barcone dove ventinove persone sono morte per asfissia. Il bimbo era con la madre e non si conoscono ancora le cause del decesso.
Soltanto nella giornata di sabato cinque interventi di salvataggio hanno portato al recupero di 749 migranti, fra cui cento donne, 61 minori e un neonato. Una nave con a bordo oltre cento migranti è in arrivo a Palermo. Il sistema di accoglienza è già stato attivato, con la prefettura e la capitaneria all'opera cosi come la Protezione civile e la Croce Rossa. Gli extracomunitari raggiungeranno Palermo a bordo del mercantile Sea Phoenix. Verranno accolti dal personale della Caritas che li ospiterà nei propri centri. Sul molo presenti anche i medici dell'Asp per le prime visite.

In questo mese di luglio si sono susseguiti in maniera continua articoli come questi: numeri dei salvati, numeri dei morti, numeri dei trasferiti. Numeri grandi in tutti e tre i casi.
L’emigrazione è un fenomeno che da sempre ha accompagnato la Storia dell’Umanità; il nomadismo può essere considerata la prima forma di ‘’emigrazione’’ di interi popoli che seguivano gli spostamenti delle mandrie di animali, unico sostentamento per la loro sopravvivenza.
Con la scoperta dell’agricoltura, il nomadismo si è molto ridimensionato, anche se ha caratterizzato la vita di molti popoli ancora per diversi secoli.
Se c’è, dunque, una costante che ha accompagnato la Storia dell’uomo fin dalla sua comparsa sulla Terra questa è proprio l’emigrazione, che ha preso nomi diversi a secondo della causa, del periodo storico, del popolo in questione: nomadismo, esodo,  diaspora, espatrio, sfollamento: forme di emigrazione forzata, per cause naturali, politiche, sociali o religiose, ma sono stati tanti i popoli che han dovuto lasciare la loro terra per una speranza di vita migliore o solo perché la loro terra era stata occupata da altri popoli.
E se c’è una costante sia nelle cause che nelle conseguenze di questi spostamenti di massa questa è la FAME.
Se un tempo, però, il problema era legato soprattutto ai lunghi periodi di carestia, essendo la ‘’terra’’ l’unico fornitore di cibo, l’assenza delle piogge rendeva sterile e arida la terra anche per più anni… parlare, invece, oggi di ‘’ fame’’ è tutt’altro discorso: oggi non manca il cibo, ma manca la suddivisione equa del cibo, ciò comporta una disuguaglianza fatale: da una parte lo spreco, dall’altra la fuga per fame!
Se dovessimo assegnare dei voti alla storia dell’uomo, come in una ‘’pagella virtuosa’’, dovremmo dire che mai come negli ultimi tempi si sia toccato il fondo su alcuni aspetti, la divisione dei beni e delle risorse è alquanto impari, tragicamente impari.
Se da una parte vengono letteralmente bruciate  tonnellate di cibo per mantenere i mercati internazionali stabili e i prezzi alti e competitivi, dall’altra milioni di persone muoiono letteralmente di fame e peggio ancora di sete.
Se ci fosse da assegnare, come si suol dire, ‘’la maglia nera’’ come peggior esempio di solidarietà umana, questi nostri tempi se la conquisterebbero come niente!
E c’è poco da scandalizzarsi, non è un segreto per nessuno questa situazione, dati e statistiche parlano chiaro e non sono tenute nascoste a nessuno.
Il verso scandalo è il persistere di tale situazione nel tempo, senza che nessuno intervenga per cambiare radicalmente le cose; l’ostacolo numero uno è ‘’l’economia’’ che pare debba continuare a mantenere determinati ritmi e livelli per non causare crolli di mercato e crisi nei Paesi cosiddetti ‘’civilizzati’’.
E mentre le regole dell’economia guidano le sorti di un mondo intero, c’è mezzo mondo che è costretto ad ‘’elemosinare’’ il pane per i figli in questo tanto tecnolocizzato terzo Millennio.
Nell’era dell’ homo tecnologicus popoli interi muoiono ancora di fame: la disuguaglianza sociale mai è stata grave come questa!
E il mondo cosa fa? Come si pone di fronte a questo problema?
In maniera diversa: con disinteresse;  ignorando il problema; sottovalutandolo; puntando il dito a destra e a sinistra; facendo statistiche; facendo congressi e convegni che cadono nel vuoto; intervenendo tanto quanto basta per non sentire i rimorsi di coscienza; tamponando le emergenze; speculando politicamente ed economicamente sulle miserie altrui; raggirando i problemi con interventi fittizi; facendosi pubblicità personale in finte azioni umanitarie; arricchendosi, anche, dirottando gli aiuti umanitari verso interessi personali…. Diciamo che c’è una gamma piuttosto consistente e varia di forme di intervento o di non intervento che complicano il problema e fanno sì che esso perduri nel tempo.
Così… mentre i popoli ‘’satolli e progrediti’’ si arricchiscono sempre più, quelli ‘’affamati’’ s’impoveriscono sempre di più, muoiono di fame o sono costretti ad emigrare.
E non è né uno slogan né una frase  fatta, ma una terribile tragica realtà alla quale si dovrebbe decidere di porre fine… ma perché questo accada occorrerebbe perseguire tutti lo stesso obiettivo: il benessere di tutti e considerare tutti come esseri umani portatori di diritti!
Ma il benessere è figlio della Pace e della Giustizia.
Se non c’è pace e non c’è giustizia, il benessere sarà sempre e soltanto parziale e limitato ad una parte della popolazione.
Ma che cosa ostacola il raggiungimento di questi due punti cardini su cui ogni società dovrebbe reggersi?
Non tanto la mancata ricerca della pace e della giustizia, quanto l’opposizione a questi concetti, il non volere cioè né la pace né la giustizia… e questo è davvero grave!
Sembra strano, impossibile, che ci siano uomini che non vogliano la pace, ma è così, purtroppo è proprio così!
Domenica scorsa, padre Ibrahim, corrispondente da Gerusalemme, nella trasmissione  ‘’A Sua immagine’’ su Rai Uno, parlando dell’attuale e secolare conflitto tra Gerusalemme e Gaza che ha visto un’escalation di violenza negli ultimi giorni, a chi gli chiedeva quale fosse la vera causa di tutto questo, ha risposto così: ‘’dopo l’incontro di papa Francesco con i responsabili delle popolazioni in questione per la pace tra questi due territori, c’è stato chi ha lavorato alacremente perché la pace non si facesse; non tutti vogliono la pace, sono tanti quelli che cercano in tutti i modi di impedire un accordo di pace. Per fare la pace ci vuole coraggio, molto più di quello che serve per fare la guerra!’’
Un’affermazione dura che deve davvero farci venire i brividi, perché si fa fatica anche solo a pensare che qualcuno non voglia la pace, che preferisca la guerra, che  lavori con impegno perché la guerra perduri… sapendo che ‘’guerra’’ vuol dire morte, distruzione, fame, violenza, miseria, dolore, emigrazione!
Pensare che ci sia gente che preferisce questo alla Pace… è davvero difficile accettarlo.
Ma questo non succede solo nella Terra Santa, è la realtà di tante altre popolazioni, soprattutto dell’Africa.
Guardiamo al Sudan. Buona parte degli immigrati che giungono in questi mesi sulle nostre coste vengono dal Sud Sudan: perché? Cosa succede laggiù?
Com’è la situazione politica, civile, economica, culturale, sociale di questa regione africana?
Ce la racconta questo articolo tratto dal sito di ‘’ Volontariato Internazionale per lo sviluppo (VIS)’’

 Sud Sudan: terzo anno dall'indipendenza. 

Il Paese è a rischio di catastrofe umanitaria

10 luglio 2014 - Il conflitto e la stagione delle piogge continuano ad aggravare la situazione umanitaria in Sud Sudan, dove ormai oltre un milione di persone ha lasciato le proprie case e non ha accesso a cibo, acqua e cure sanitarie e dove intere comunità sono state completamente distrutte. Oggi, nel terzo anniversario dell’indipendenza del paese e della sua divisione dal Sudan, il network di ONG AGIRE richiama l’urgenza di una maggiore risposta umanitaria nei confronti della più grave crisi africana del momento.
Le Nazioni Unite stimano che circa 1,5 milioni di persone siano in fuga, di cui circa 1,1 milioni sfollati all’interno dei confini del paese e 400 mila fuggite all’estero, soprattutto nei paesi confinanti. Ancor prima che il conflitto riesplodesse con veemenza nel dicembre scorso, il Sud Sudan versava in una situazione di cronica emergenza sanitaria. «In questo momento si accavallano purtroppo diverse emergenze – dice Marco Bertotto, direttore di AGIRE. «Sei mesi di conflitto che hanno generato esodi in massa, il collasso delle strutture sanitarie, allagamenti dovuti all’intensa stagione delle piogge, sacche di grave malnutrizione e il crescere del numero di casi di colera. L’insieme di questi diversi fattori rende l’emergenza in Sud Sudan particolarmente grave: è una crisi umanitaria che non possiamo più ignorare».
L'insicurezza è una delle più grandi sfide per la consegna degli aiuti umanitari. Per raggiungere le popolazioni più in difficoltà, le organizzazioni umanitarie hanno bisogno di accesso incondizionato a tutte le aree. Le parti in conflitto dovrebbero rispettare in ogni momento i movimenti e la presenza delle agenzie umanitarie. Ma purtroppo i continui combattimenti e gli spostamenti di migliaia di persone ogni giorno, la distruzione dei mercati, l’impossibilità di seminare e raccogliere, la violenza della stagione delle piogge, l’insicurezza alimentare e la correlata vulnerabilità stanno mettendo a rischio sempre più serio milioni di persone. Gli esperti dell’IPC (Integrated Food Security Phase Classification) hanno già evidenziato che se il conflitto perdurerà e il livello degli aiuti umanitari non sarà incrementato, entro il mese di agosto è probabile che alcune aree del paese cadranno in situazioni di carestia.
Anche la disponibilità di fondi costituisce un grave limite all’azione delle agenzie umanitarie. Le Nazioni Unite hanno lanciato un appello per circa 1,8 miliardi di dollari, ma finora i paesi donatori hanno contribuito con meno della metà delle risorse necessarie. Le stesse campagne di raccolta fondi lanciate dalle singole organizzazioni umanitarie si sono dimostrate insufficienti a sostenere la capacità operativa presente sul terreno e i bisogni effettivi delle popolazioni.
«E’ una situazione sempre più complicata: per prevenire una catastrofe umanitaria non si può attendere che il peggior scenario possibile si realizzi. Le 7 organizzazioni non governative di AGIRE presenti nel paese stanno intensificando i loro programmi di assistenza umanitaria, ma è indispensabile che la comunità internazionale e i governi donatori diano un contributo concreto sia per aumentare la disponibilità di fondi che per favorire l’accesso dei soccorritori alle comunità colpite – conclude Bertotto.
AGIRE continua a mantenere sotto stretta osservazione la situazione umanitaria in Sud Sudan. Il livello di bisogni sul terreno e la capacità operativa delle organizzazioni associate sarebbero sufficienti a giustificare l’immediato lancio di un appello congiunto di raccolta fondi. Purtroppo il grado di informazione e sensibilità dell’opinione pubblica non bastano a garantire il successo dell’appello e impediscono quindi, in Italia come in altri paesi europei, l’efficace attivazione di campagne di raccolta fondi da parte delle organizzazioni non governative.


Noi contiamo le migliaia di profughi che giungono sulle coste della Sicilia e ci sembrano cifre enormi, insostenibili, ingestibili… ma i numeri vanno ben al di là di queste poche centinaia di profughi: si parla di milioni di persone in fuga, per fame, paura, guerra, violenza…

Ovviamente il problema è molto più grande di quanto qui detto, basterebbe solo aprire la pagina del traffico internazionale di armi, per avere una pallida idea di quello che sta succedendo nei Paesi di provenienza di questi immigrati che hanno ‘’scombinato i sogni’’ di tanti italiani e di qualche europeo; occorrerebbe dare un’occhiata alle statistiche dei maggiori esportatori di armi leggere nei Pesi del Medio Oriente, per avere un qualche idea di ciò che gira dentro ed intorno al mondo dell’immigrazione!
E certo l’Italia e l’Europa non se ne escono con le mani pulite in questi traffici fatti alla luce del sole, dagli stessi governi che si avvicendano nel tempo.
Cosa dire? A quale conclusione possiamo giungere?
C’è un mondo in fuga. Un mondo in subbuglio. Un mondo che si arricchisce sulle spalle dei poveri. Un mondo che detesta la pace. Un mondo che non vuole praticare la giustizia. Un mondo fondato volontariamente sulla disuguaglianza. Un mondo che sceglie consapevolmente la guerra, la morte e il dolore. Un mondo che preferisce distruggere piuttosto che condividere. Che preferisce prendere piuttosto che dare. Che preferisce uccidere piuttosto che abbracciare. Tanti mondi che girano su ritmi diversi.
Forse dovremmo interrogarci sul serio cosa ne vogliamo fare di questo mondo; quali responsabilità ha ciascuno di noi in questi fenomeni di immigrazione, di fuga di interi popoli; quali azioni concrete si dovrebbero adottare per impedire lo svuotamento di un continente e il sovraffollamento di un altro.
È vero che sono tanti quelli che si adoperano per il Bene Comune e la sopravvivenza dei popoli in difficoltà, ma a loro fanno eco i tanti che ostacolano o lavorano in senso contrario alle loro intenzioni.
Fino a quando l’uomo sarà spaccato in se stesso, fino a quando non sceglierà la Pace come suo Unico Bene ed Unica Ricchezza… il mondo continuerà a fare guerra a se stesso!
Non è possibile accettare questa conclusione. Non è possibile rassegnarsi a questo. 
Non dobbiamo farlo.
Non dobbiamo cedere all’ ineluttabilità di un destino scritto dalle nostre fragilità umane.
Occorre mettere insieme le forze di pace per opporsi alle forze di guerra, occorre lottare e desiderare la pace, occorre metterla come obiettivo prioritario di tutti i popoli. 
Occorre avviare la rivoluzione dell’amore!
Un sogno?
Dipende da noi: può restare un sogno irraggiungibile, se continuiamo a spararci addosso con proiettili e parole, oppure trasformarsi in realtà
Che il nostro sia un mondo bello nessuno lo mette in dubbio, ma perché resti bello occorre che ognuno si adoperi perché non venga distrutto… non è accettabile che qualcuno lavori per la distruzione e non per la condivisione
Nessuno vuole fare le cose facili, la pace è una conquista difficile, difficilissima, lo sappiamo, ma questo non vuol dire che non ci si debba adoperare per perseguirla o che ci si debba arrendere o peggio ancora che ci si schieri contro!
Siamo uomini… o almeno così dovrebbe essere … e l’uomo non può che desiderare e lavorare per la pace!
Non bisogna mai arrendersi all’ impossibilità della pace!
La pace richiede una rivoluzione interiore, fino a quando le rivoluzioni le facciamo solo esteriormente, per cambiare gli altri e non noi stessi… è chiaro che i risultati saranno deludenti!
Abbiamo imparato a guardare lontano… perché abbiamo paura di guardarci da vicino… se lo facessimo avremmo orrore di quello che vedremmo: orrore di noi stessi, per come abbiamo schiavizzato il cuore, asservito al potere, al denaro, alla morte.
Ecco perché guardiamo fuori, lontano, sempre più lontano… fino alle galassie al di fuori della nostra … perché abbiamo paura… paura di ciò che siamo diventati, a conferma del vecchio detto latino: homo homini lupus (letteralmente "l'uomo è un lupo per l'uomo").
È amaro pensare che l’espressione di Seneca, vissuto nel 4 a.C.,  "l'uomo è una cosa sacra per l'uomo" sia ancora molto… ma molto lontana dal realizzarsi!
Diceva ancora Seneca: ‘’Che cosa misera è l'umanità se non si sa elevare oltre l'umano!’’.
Come non dargli ragione!
In ’’De clementia’’ Seneca sostiene la tesi che ‘’la clemenza é tanto più ammirevole, quanto maggiore è il potere di chi la manifesta’’.
‘’La clemenza è agli antipodi dell'ira - la malattia del tiranno - Se vogliamo avere la meglio sull'ira, non deve essere lei ad avere la meglio su di noi. Cominceremo a vincere solo quando la nasconderemo e le impediremo di prorompere all'esterno; infatti - dice Seneca - se le consentiamo di fuoriuscire, essa ci domina: dobbiamo dunque nasconderla nel più profondo remoto del nostro petto, essa va trascinata perchè non ci trascini; bisogna combattere tutti i suoi indizi e le sue manifestazioni: è opportuno raddolcire la voce, allentare il passo, contenere il volto e a poco a poco l'interno si conformerà all'esterno’’
L' interiorità, a cui fa appello Seneca, è il luogo in cui si combatte contro gli assalti di tutto ciò che è esterno per la salvaguardia della propria libertà: ed è per questo che il pensatore spagnolo ci invita (De ira, III, 36) alla sera, quando la nostra giornata volge al termine, a fare un redde rationem, una ricognizione fra i sentieri del proprio animo per sincerarsi che quella trascorsa sia stata una giornata bene impiegata.
L’uomo è per Seneca – sulla scia di Aristotele – un animale congenitamente socievole ("hominem sociale animal communi bono genitum videri volumus", De clementia, I, 3, 2): ‘Siamo tutti membra di uno stesso corpo, tutti per natura vincolati da un rapporto di reciproco sostegno, così come le pietre che costituiscono una volta (Epistole a Lucilio, 95), pronta a cadere se esse non si sorreggessero a vicenda’’.

Certo, lo so bene che non è il caso di filosofeggiare quando ci si trova davanti ai corpi morti per asfissia degli emigranti che fuggono dalla guerra, lo so bene che di fronte alle tragedie non c’è filosofia che tenga, forse però dovremmo davvero invertire la rotta, e non quella che dalla Libia giunge in Italia, ma quella che dal mondo esterno entra nel nostro cuore: se non impariamo a considerarci membra di uno stesso corpo, vincolati da un rapporto di reciproco sostegno, se non impariamo a controllare i nostri istinti, l’ira del potente che ruggisce e distrugge il suo popolo, se non impariamo nuovamente a fare una ricognizione fra i sentieri del proprio animo per verificare i nostri comportamenti… se non impariamo a dominare noi stessi e a riconoscere ‘‘il servizio all’altro’’ come il maggiore dei poteri, a riconoscere la ‘’clemenza’’ come forza e non come debolezza, ad accettare che l’altro uomo è una cosa sacra per me uomo come lui… se non impariamo queste cose, se non ci convinciamo che questa è l’unica strada giusta… allora continueremo a contare i morti, a fuggire dalle nostre case, a lamentarci inutilmente, a sparare contro noi stessi, ad usare il potere come strumento di distruzione e non di civiltà.
La via giusta la conosciamo e… prima ancora che dai filosofi … ci è stata detta da Colui che ci ha creati… purtroppo per noi è la volontà di percorrerla che è ancora tutta da generare dentro di noi!

E non possiamo neanche più permetterci il lusso di pensarci soltanto…
 perché la necessità vera è l’urgenza di metterla in atto!

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