In questo mese di luglio si sono susseguiti in maniera
continua articoli come questi: numeri dei salvati, numeri dei morti, numeri dei
trasferiti. Numeri grandi in tutti e tre i casi.
L’emigrazione è un fenomeno che da sempre ha accompagnato la
Storia dell’Umanità; il nomadismo può essere considerata la prima forma di
‘’emigrazione’’ di interi popoli che seguivano gli spostamenti delle mandrie di
animali, unico sostentamento per la loro sopravvivenza.
Con la scoperta dell’agricoltura, il nomadismo si è molto
ridimensionato, anche se ha caratterizzato la vita di molti popoli ancora per
diversi secoli.
Se c’è, dunque, una costante che ha accompagnato la Storia
dell’uomo fin dalla sua comparsa sulla Terra questa è proprio l’emigrazione,
che ha preso nomi diversi a secondo della causa, del periodo storico, del
popolo in questione: nomadismo, esodo,
diaspora, espatrio, sfollamento: forme di emigrazione forzata, per cause
naturali, politiche, sociali o religiose, ma sono stati tanti i popoli che han
dovuto lasciare la loro terra per una speranza di vita migliore o solo perché la
loro terra era stata occupata da altri popoli.
E se c’è una costante sia nelle cause che nelle conseguenze di
questi spostamenti di massa questa è la FAME.
Se un tempo, però, il problema era legato soprattutto ai
lunghi periodi di carestia, essendo la ‘’terra’’ l’unico fornitore di cibo,
l’assenza delle piogge rendeva sterile e arida la terra anche per più anni…
parlare, invece, oggi di ‘’ fame’’ è tutt’altro discorso: oggi non manca il
cibo, ma manca la suddivisione equa del cibo, ciò comporta una disuguaglianza
fatale: da una parte lo spreco, dall’altra la fuga per fame!
Se dovessimo assegnare dei voti alla storia dell’uomo, come
in una ‘’pagella virtuosa’’, dovremmo dire che mai come negli ultimi tempi si
sia toccato il fondo su alcuni aspetti, la divisione dei beni e delle risorse è
alquanto impari, tragicamente impari.
Se da una parte vengono letteralmente bruciate tonnellate di cibo per mantenere i mercati
internazionali stabili e i prezzi alti e competitivi, dall’altra milioni di
persone muoiono letteralmente di fame e peggio ancora di sete.
Se ci fosse da assegnare, come si suol dire, ‘’la maglia
nera’’ come peggior esempio di solidarietà umana, questi nostri tempi se la
conquisterebbero come niente!
E c’è poco da scandalizzarsi, non è un segreto per nessuno
questa situazione, dati e statistiche parlano chiaro e non sono tenute nascoste
a nessuno.
Il verso scandalo è il persistere di tale situazione nel
tempo, senza che nessuno intervenga per cambiare radicalmente le cose;
l’ostacolo numero uno è ‘’l’economia’’ che pare debba continuare a mantenere
determinati ritmi e livelli per non causare crolli di mercato e crisi nei Paesi
cosiddetti ‘’civilizzati’’.
E mentre le regole dell’economia guidano le sorti di un
mondo intero, c’è mezzo mondo che è costretto ad ‘’elemosinare’’ il pane per i
figli in questo tanto tecnolocizzato terzo Millennio.
Nell’era dell’ homo tecnologicus popoli interi muoiono
ancora di fame: la disuguaglianza sociale mai è stata grave come questa!
E il mondo cosa fa? Come si pone di fronte a questo
problema?
In maniera diversa: con disinteresse; ignorando il problema; sottovalutandolo;
puntando il dito a destra e a sinistra; facendo statistiche; facendo congressi e
convegni che cadono nel vuoto; intervenendo tanto quanto basta per non sentire
i rimorsi di coscienza; tamponando le emergenze; speculando politicamente ed
economicamente sulle miserie altrui; raggirando i problemi con interventi
fittizi; facendosi pubblicità personale in finte azioni umanitarie;
arricchendosi, anche, dirottando gli aiuti umanitari verso interessi
personali…. Diciamo che c’è una gamma piuttosto consistente e varia di forme di
intervento o di non intervento che complicano il problema e fanno sì che esso
perduri nel tempo.
Così… mentre i popoli ‘’satolli e progrediti’’ si
arricchiscono sempre più, quelli ‘’affamati’’ s’impoveriscono sempre di più, muoiono
di fame o sono costretti ad emigrare.
E non è né uno slogan né una frase fatta, ma una terribile tragica realtà alla
quale si dovrebbe decidere di porre fine… ma perché questo accada occorrerebbe
perseguire tutti lo stesso obiettivo: il benessere di tutti e considerare tutti
come esseri umani portatori di diritti!
Ma il benessere è
figlio della Pace e della Giustizia.
Se non c’è pace e non c’è giustizia, il benessere sarà
sempre e soltanto parziale e limitato ad una parte della popolazione.
Ma che cosa ostacola il raggiungimento di questi due punti
cardini su cui ogni società dovrebbe reggersi?
Non tanto la mancata ricerca della pace e della giustizia,
quanto l’opposizione a questi concetti, il non volere cioè né la pace né la giustizia…
e questo è davvero grave!
Sembra strano, impossibile, che ci siano uomini che non
vogliano la pace, ma è così, purtroppo è proprio così!
Domenica scorsa, padre Ibrahim, corrispondente da
Gerusalemme, nella trasmissione ‘’A Sua
immagine’’ su Rai Uno, parlando dell’attuale e secolare conflitto tra
Gerusalemme e Gaza che ha visto un’escalation di violenza negli ultimi giorni,
a chi gli chiedeva quale fosse la vera causa di tutto questo, ha risposto così:
‘’dopo l’incontro di papa Francesco con i
responsabili delle popolazioni in questione per la pace tra questi due
territori, c’è stato chi ha lavorato alacremente perché la pace non si facesse;
non tutti vogliono la pace, sono tanti quelli che cercano in tutti i modi di
impedire un accordo di pace. Per fare la pace ci vuole coraggio, molto più di
quello che serve per fare la guerra!’’
Un’affermazione dura che deve davvero farci venire i
brividi, perché si fa fatica anche solo a pensare che qualcuno non voglia la
pace, che preferisca la guerra, che lavori con impegno perché la guerra perduri… sapendo che ‘’guerra’’ vuol
dire morte, distruzione, fame, violenza, miseria, dolore, emigrazione!
Pensare che ci sia gente che preferisce questo alla Pace… è
davvero difficile accettarlo.
Ma questo non succede solo nella Terra Santa, è la realtà di
tante altre popolazioni, soprattutto dell’Africa.
Guardiamo al Sudan. Buona parte degli immigrati che giungono
in questi mesi sulle nostre coste vengono dal Sud Sudan: perché? Cosa succede
laggiù?
Com’è la situazione politica, civile, economica, culturale,
sociale di questa regione africana?
Ce la racconta questo articolo tratto dal sito di ‘’
Volontariato Internazionale per lo sviluppo (VIS)’’
Sud Sudan: terzo anno dall'indipendenza.
Il Paese è a rischio di catastrofe umanitaria
10 luglio 2014 - Il conflitto e la stagione delle piogge continuano ad aggravare
la situazione umanitaria in Sud Sudan, dove ormai oltre un milione di persone
ha lasciato le proprie case e non ha accesso a cibo, acqua e cure sanitarie e
dove intere comunità sono state completamente distrutte. Oggi, nel terzo
anniversario dell’indipendenza del paese e della sua divisione dal Sudan, il
network di ONG AGIRE richiama l’urgenza di una maggiore
risposta umanitaria nei confronti della più grave crisi africana del momento.
Le Nazioni Unite stimano che circa 1,5 milioni di persone siano in fuga, di cui circa 1,1 milioni sfollati all’interno dei confini del paese e 400 mila fuggite all’estero, soprattutto nei paesi confinanti. Ancor prima che il conflitto riesplodesse con veemenza nel dicembre scorso, il Sud Sudan versava in una situazione di cronica emergenza sanitaria. «In questo momento si accavallano purtroppo diverse emergenze – dice Marco Bertotto, direttore di AGIRE. «Sei mesi di conflitto che hanno generato esodi in massa, il collasso delle strutture sanitarie, allagamenti dovuti all’intensa stagione delle piogge, sacche di grave malnutrizione e il crescere del numero di casi di colera. L’insieme di questi diversi fattori rende l’emergenza in Sud Sudan particolarmente grave: è una crisi umanitaria che non possiamo più ignorare».
L'insicurezza è una delle più grandi sfide per la consegna degli aiuti umanitari. Per raggiungere le popolazioni più in difficoltà, le organizzazioni umanitarie hanno bisogno di accesso incondizionato a tutte le aree. Le parti in conflitto dovrebbero rispettare in ogni momento i movimenti e la presenza delle agenzie umanitarie. Ma purtroppo i continui combattimenti e gli spostamenti di migliaia di persone ogni giorno, la distruzione dei mercati, l’impossibilità di seminare e raccogliere, la violenza della stagione delle piogge, l’insicurezza alimentare e la correlata vulnerabilità stanno mettendo a rischio sempre più serio milioni di persone. Gli esperti dell’IPC (Integrated Food Security Phase Classification) hanno già evidenziato che se il conflitto perdurerà e il livello degli aiuti umanitari non sarà incrementato, entro il mese di agosto è probabile che alcune aree del paese cadranno in situazioni di carestia.
Anche la disponibilità di fondi costituisce un grave limite all’azione delle agenzie umanitarie. Le Nazioni Unite hanno lanciato un appello per circa 1,8 miliardi di dollari, ma finora i paesi donatori hanno contribuito con meno della metà delle risorse necessarie. Le stesse campagne di raccolta fondi lanciate dalle singole organizzazioni umanitarie si sono dimostrate insufficienti a sostenere la capacità operativa presente sul terreno e i bisogni effettivi delle popolazioni.
«E’ una situazione sempre più complicata: per prevenire una catastrofe umanitaria non si può attendere che il peggior scenario possibile si realizzi. Le 7 organizzazioni non governative di AGIRE presenti nel paese stanno intensificando i loro programmi di assistenza umanitaria, ma è indispensabile che la comunità internazionale e i governi donatori diano un contributo concreto sia per aumentare la disponibilità di fondi che per favorire l’accesso dei soccorritori alle comunità colpite – conclude Bertotto.
AGIRE continua a mantenere sotto stretta osservazione la situazione umanitaria in Sud Sudan. Il livello di bisogni sul terreno e la capacità operativa delle organizzazioni associate sarebbero sufficienti a giustificare l’immediato lancio di un appello congiunto di raccolta fondi. Purtroppo il grado di informazione e sensibilità dell’opinione pubblica non bastano a garantire il successo dell’appello e impediscono quindi, in Italia come in altri paesi europei, l’efficace attivazione di campagne di raccolta fondi da parte delle organizzazioni non governative.
Le Nazioni Unite stimano che circa 1,5 milioni di persone siano in fuga, di cui circa 1,1 milioni sfollati all’interno dei confini del paese e 400 mila fuggite all’estero, soprattutto nei paesi confinanti. Ancor prima che il conflitto riesplodesse con veemenza nel dicembre scorso, il Sud Sudan versava in una situazione di cronica emergenza sanitaria. «In questo momento si accavallano purtroppo diverse emergenze – dice Marco Bertotto, direttore di AGIRE. «Sei mesi di conflitto che hanno generato esodi in massa, il collasso delle strutture sanitarie, allagamenti dovuti all’intensa stagione delle piogge, sacche di grave malnutrizione e il crescere del numero di casi di colera. L’insieme di questi diversi fattori rende l’emergenza in Sud Sudan particolarmente grave: è una crisi umanitaria che non possiamo più ignorare».
L'insicurezza è una delle più grandi sfide per la consegna degli aiuti umanitari. Per raggiungere le popolazioni più in difficoltà, le organizzazioni umanitarie hanno bisogno di accesso incondizionato a tutte le aree. Le parti in conflitto dovrebbero rispettare in ogni momento i movimenti e la presenza delle agenzie umanitarie. Ma purtroppo i continui combattimenti e gli spostamenti di migliaia di persone ogni giorno, la distruzione dei mercati, l’impossibilità di seminare e raccogliere, la violenza della stagione delle piogge, l’insicurezza alimentare e la correlata vulnerabilità stanno mettendo a rischio sempre più serio milioni di persone. Gli esperti dell’IPC (Integrated Food Security Phase Classification) hanno già evidenziato che se il conflitto perdurerà e il livello degli aiuti umanitari non sarà incrementato, entro il mese di agosto è probabile che alcune aree del paese cadranno in situazioni di carestia.
Anche la disponibilità di fondi costituisce un grave limite all’azione delle agenzie umanitarie. Le Nazioni Unite hanno lanciato un appello per circa 1,8 miliardi di dollari, ma finora i paesi donatori hanno contribuito con meno della metà delle risorse necessarie. Le stesse campagne di raccolta fondi lanciate dalle singole organizzazioni umanitarie si sono dimostrate insufficienti a sostenere la capacità operativa presente sul terreno e i bisogni effettivi delle popolazioni.
«E’ una situazione sempre più complicata: per prevenire una catastrofe umanitaria non si può attendere che il peggior scenario possibile si realizzi. Le 7 organizzazioni non governative di AGIRE presenti nel paese stanno intensificando i loro programmi di assistenza umanitaria, ma è indispensabile che la comunità internazionale e i governi donatori diano un contributo concreto sia per aumentare la disponibilità di fondi che per favorire l’accesso dei soccorritori alle comunità colpite – conclude Bertotto.
AGIRE continua a mantenere sotto stretta osservazione la situazione umanitaria in Sud Sudan. Il livello di bisogni sul terreno e la capacità operativa delle organizzazioni associate sarebbero sufficienti a giustificare l’immediato lancio di un appello congiunto di raccolta fondi. Purtroppo il grado di informazione e sensibilità dell’opinione pubblica non bastano a garantire il successo dell’appello e impediscono quindi, in Italia come in altri paesi europei, l’efficace attivazione di campagne di raccolta fondi da parte delle organizzazioni non governative.
Noi contiamo le migliaia di profughi che giungono sulle coste della Sicilia e ci sembrano cifre enormi, insostenibili, ingestibili… ma i numeri vanno ben al di là di queste poche centinaia di profughi: si parla di milioni di persone in fuga, per fame, paura, guerra, violenza…
Ovviamente il problema è molto più grande di quanto qui detto,
basterebbe solo aprire la pagina del traffico internazionale di armi, per avere
una pallida idea di quello che sta succedendo nei Paesi di provenienza di
questi immigrati che hanno ‘’scombinato i sogni’’ di tanti italiani e di
qualche europeo; occorrerebbe dare un’occhiata alle statistiche dei maggiori
esportatori di armi leggere nei Pesi del Medio Oriente, per avere un qualche
idea di ciò che gira dentro ed intorno al mondo dell’immigrazione!
E certo l’Italia e l’Europa non se ne escono con le mani pulite in
questi traffici fatti alla luce del sole, dagli stessi governi che si
avvicendano nel tempo.
Cosa dire? A quale conclusione possiamo giungere?
C’è un mondo in fuga. Un mondo in subbuglio. Un mondo che si
arricchisce sulle spalle dei poveri. Un mondo che detesta la pace. Un mondo che
non vuole praticare la giustizia. Un mondo fondato volontariamente sulla
disuguaglianza. Un mondo che sceglie consapevolmente la guerra, la morte e il
dolore. Un mondo che preferisce distruggere piuttosto che condividere. Che
preferisce prendere piuttosto che dare. Che preferisce uccidere piuttosto che
abbracciare. Tanti mondi che girano su ritmi diversi.
Forse dovremmo interrogarci sul serio cosa ne vogliamo fare di questo
mondo; quali responsabilità ha ciascuno di noi in questi fenomeni di
immigrazione, di fuga di interi popoli; quali azioni concrete si dovrebbero
adottare per impedire lo svuotamento di un continente e il sovraffollamento di
un altro.
È vero che sono tanti quelli che si adoperano per il Bene Comune e la
sopravvivenza dei popoli in difficoltà, ma a loro fanno eco i tanti che
ostacolano o lavorano in senso contrario alle loro intenzioni.
Fino a quando l’uomo sarà spaccato in se stesso, fino a quando non
sceglierà la Pace come suo Unico Bene ed Unica Ricchezza… il mondo continuerà a
fare guerra a se stesso!
Non è possibile accettare questa conclusione. Non è possibile
rassegnarsi a questo.
Non dobbiamo farlo.
Non dobbiamo cedere all’ ineluttabilità di un destino scritto dalle
nostre fragilità umane.
Occorre mettere insieme le forze di pace per opporsi alle forze di
guerra, occorre lottare e desiderare la pace, occorre metterla come obiettivo
prioritario di tutti i popoli.
Occorre avviare la rivoluzione dell’amore!
Un sogno?
Dipende da noi: può restare un sogno irraggiungibile, se continuiamo a
spararci addosso con proiettili e parole, oppure trasformarsi in realtà
Che il nostro sia un mondo bello nessuno lo mette in dubbio, ma perché resti
bello occorre che ognuno si adoperi perché non venga distrutto… non è accettabile
che qualcuno lavori per la distruzione e non per la condivisione
Nessuno vuole fare le cose facili, la pace è una conquista difficile,
difficilissima, lo sappiamo, ma questo non vuol dire che non ci si debba
adoperare per perseguirla o che ci si debba arrendere o peggio ancora che ci si
schieri contro!
Siamo uomini… o almeno così dovrebbe essere … e l’uomo non può che desiderare
e lavorare per la pace!
Non bisogna mai arrendersi all’ impossibilità della pace!
La pace richiede una rivoluzione interiore, fino a quando le
rivoluzioni le facciamo solo esteriormente, per cambiare gli altri e non noi
stessi… è chiaro che i risultati saranno deludenti!
Abbiamo imparato a guardare lontano… perché abbiamo paura di guardarci
da vicino… se lo facessimo avremmo orrore di quello che vedremmo: orrore di noi
stessi, per come abbiamo schiavizzato il cuore, asservito al potere, al denaro,
alla morte.
Ecco perché guardiamo fuori, lontano, sempre più lontano… fino alle
galassie al di fuori della nostra … perché abbiamo paura… paura di ciò che
siamo diventati, a conferma del vecchio detto latino: homo homini lupus (letteralmente
"l'uomo è un lupo per l'uomo").
È amaro pensare che l’espressione di Seneca, vissuto nel 4 a.C., "l'uomo è una cosa sacra per
l'uomo" sia ancora molto… ma molto lontana dal realizzarsi!
Diceva ancora Seneca: ‘’Che cosa misera è l'umanità se non si sa
elevare oltre l'umano!’’.
Come non dargli ragione!
In ’’De clementia’’ Seneca sostiene
la tesi che ‘’la clemenza é tanto più ammirevole, quanto maggiore è il potere di chi
la manifesta’’.
‘’La clemenza è agli antipodi dell'ira - la malattia del tiranno - Se
vogliamo avere la meglio sull'ira, non deve essere lei ad avere la meglio su di
noi. Cominceremo a vincere solo quando la nasconderemo e le impediremo di
prorompere all'esterno; infatti - dice Seneca - se le consentiamo di
fuoriuscire, essa ci domina: dobbiamo dunque nasconderla nel più profondo
remoto del nostro petto, essa va trascinata perchè non ci trascini; bisogna
combattere tutti i suoi indizi e le sue manifestazioni: è opportuno raddolcire
la voce, allentare il passo, contenere il volto e a poco a poco l'interno si
conformerà all'esterno’’
L' interiorità, a cui fa appello Seneca, è il luogo in cui si combatte
contro gli assalti di tutto ciò che è esterno per la salvaguardia della propria
libertà: ed è per questo che il pensatore spagnolo ci invita (De ira, III, 36) alla sera, quando la nostra giornata volge
al termine, a fare un redde rationem, una ricognizione fra i sentieri del
proprio animo per sincerarsi che quella trascorsa sia stata una giornata bene
impiegata.
L’uomo è per Seneca – sulla scia di Aristotele – un animale congenitamente
socievole ("hominem sociale animal communi bono genitum videri
volumus", De clementia, I, 3, 2): ‘’Siamo
tutti membra di uno stesso corpo, tutti per natura vincolati da un rapporto di
reciproco sostegno, così come le pietre che costituiscono una volta (Epistole a
Lucilio, 95), pronta a cadere se esse non si sorreggessero a vicenda’’.
Certo, lo so bene che non è il caso di filosofeggiare quando ci si
trova davanti ai corpi morti per asfissia degli emigranti che fuggono dalla
guerra, lo so bene che di fronte alle tragedie non c’è filosofia che tenga, forse però dovremmo davvero invertire la rotta, e non quella che dalla Libia
giunge in Italia, ma quella che dal mondo esterno entra nel nostro cuore: se
non impariamo a considerarci membra di uno stesso corpo, vincolati da un
rapporto di reciproco sostegno, se non impariamo a controllare i nostri
istinti, l’ira del potente che ruggisce e distrugge il suo popolo, se non
impariamo nuovamente a fare una ricognizione fra i sentieri del proprio animo
per verificare i nostri comportamenti… se non impariamo a dominare noi stessi e
a riconoscere ‘‘il servizio all’altro’’ come il maggiore dei poteri, a riconoscere
la ‘’clemenza’’ come forza e non come debolezza, ad accettare che l’altro uomo
è una cosa sacra per me uomo come lui… se non impariamo queste cose, se non ci
convinciamo che questa è l’unica strada giusta… allora continueremo a contare i
morti, a fuggire dalle nostre case, a lamentarci inutilmente, a sparare contro
noi stessi, ad usare il potere come strumento di distruzione e non di civiltà.
La via giusta la conosciamo e… prima ancora che dai filosofi … ci è
stata detta da Colui che ci ha creati… purtroppo per noi è la volontà di
percorrerla che è ancora tutta da generare dentro di noi!
E non possiamo neanche più
permetterci il lusso di pensarci soltanto…
perché la necessità vera è l’urgenza
di metterla in atto!

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