Cosa succede
ai migranti una volta arrivati in Europa?
La ricollocazione
e la sistemazione sono la vera sfida
dell’intero continente, non soltanto dei 28 membri dell’Unione europea.
La Svizzera,
che della UE non fa parte, ospita circa 20mila eritrei, una delle più grandi
comunità fuori dall’Africa, e da poco ha avviato un programma di accoglienza di
richiedenti asilo che prevede l’ospitalità direttamente all’interno delle
famiglie. Non è la prima volta che la Conferenza elvetica sceglie questa
soluzione: c’è infatti il precedente del 1973, con 250 persone fuggite durante il golpe militare in Cile.
Ora i
nuclei familiari che hanno aderito volontariamente al progetto sono circa 300.
In Svizzera
le procedure dell’asilo sono responsabilità delle autorità federali, anche se
concretamente sono i cantoni che si occupano sia degli alloggi sia degli aiuti
da erogare.
Al momento sono due quelli che hanno accettato di ospitare in famiglia i richiedenti asilo:
Vaud ( di lingua francese) e Argovia ( di lingua tedesca).
Al momento sono due quelli che hanno accettato di ospitare in famiglia i richiedenti asilo:
Vaud ( di lingua francese) e Argovia ( di lingua tedesca).
A loro si è
aggiunto il cantone della capitale, Berna, che ha appena dato il nullaosta,
mentre quello di Ginevra ha mostrato interesse.
Il progetto
è coordinato dall’Organizzazione svizzera di aiuto ai rifugiati (Osar) ed è
rivolto ai richiedenti che hanno già ricevuto un permesso provvisorio (tipo F), ma sono i cantoni che selezionano
chi vi debba rientrare e che ne sono responsabili dal punto di vista
amministrativo, comprese le spese per l’alloggio e l’assicurazione sanitaria. Le
famiglie si impegnano a ospitare il migrante per almeno sei mesi e percepiscono
dai cantoni una cifra corrispondente all’affitto, mentre il richiedente asilo
percepisce una somma giornaliera per cibo e trasporti. In Svizzera l’accoglienza
in strutture private, con diverse modalità, è una realtà collaudata. Tra le diverse
iniziative in corso anche quella che prevede l’impiego nel settore agricolo. Il
progetto ha una durata di tre anni ed è promosso dall’Unione svizzera dei
contadini (Usc) e dalla Segreteria di Stato per la migrazione (Sem). I
destinatari sono i migranti riconosciuti rifugiati, che possono così migliorare
conoscenze linguistiche e competenze professionali. Al momento hanno aderito 10
aziende agricole in 7 dei 26 cantoni, mentre 15 sono i lavoratori stranieri
scelti per un impiego stagionale di tre mesi prolungabile. Per tutti è previsto
uno stipendio che il primo mese è di
circa 2.200 euro e durante gli altri sarà quello minimo imposto per legge, in
media 3.100 euro mensili. A loro volta le aziende ricevono un indennizzo di 190
euro per le pratiche amministrative, mentre il grosso della spesa, circa
385mila euro, è a carico dell’Usc e della Sem.
L’obiettivo,
infatti, è quello di rendere i migranti indipendenti dal punto di vista
economico, evitando così che ricorrano agli aiuti pubblici forniti dalla Confederazione
elvetica: avendo un lavoro cessa il sostegno ‘’automatico’’ dello Stato, come l’alloggio
o la cassa malattia. L’iniziativa è stata accolta con favore, sia dall’Osar sia
dall’Unione dei sindacati svizzeri, che sperano possa essere replicata in altri
settori. Ci sono poi casi i cui migranti trovano ospitalità in strutture
religiose, tra cui una veramente speciale. In ottobre i media elvetici
raccontarono l’esperienza dell’abbazia territoriale di Einsiedeln, una delle
più celebri del paese, nel Cantone Svitto, di lingua tedesca, famosa per la
cappella della Madonna Nera e visitata ogni anno da circa un milione di
turisti. Fondato nell’anno 934, il monastero benedettino ha cominciato
ospitando
una trentina di eritrei.
una trentina di eritrei.
L’ultimo
riassetto del settore dell’asilo prevede nuovi centri per un totale di 5mila
posti per l’accoglienza dei richiedenti, in sei regioni, proporzionalmente al
numero degli abitanti.
Tra gli obiettivi della nuova ripartizione, quello di trattare ogni richiesta in meno di 140 giorni, cioè poco più di cinque mesi.
Tra gli obiettivi della nuova ripartizione, quello di trattare ogni richiesta in meno di 140 giorni, cioè poco più di cinque mesi.
(di Simona
Verrazzo da Avvenire del 3 giugno 2015)
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Cosa dire?
C’è chi
parla tanto e non conclude niente.
C’è chi
chiude e sbarra vie d’accesso.
C’è chi fa
propaganda politica sulla pelle dei disperati.
C’è chi si
arricchisce sulle spalle dei migranti.
C’è chi fa
commercio della carne umana.
C’è chi
specula sulle miserie altrui.
C’è chi
volta lo sguardo dall’altra parte.
C’è chi
accusa di buonismo coloro che se ne vogliono prendere cura.
C’è chi fa
i conti in tasca agli altri, come se fossero i suoi,
c’è chi … c’è
chi, come la Svizzera, guarda in faccia la realtà ed agisce di conseguenza,
adoperandosi a cercare soluzioni positive per tutti, soluzioni dignitose e rispettose
dei principali principi umani e morali;
c’è chi,
pur nel suo piccolo territorio… mostra di avere un cuore grande!
La Svizzera
è un modello, un buon modello da imitare… ma, come si sa…
Pinocchio
preferiva ascoltare il Gatto e la Volpe, piuttosto che i consigli della fatina!

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