giovedì 19 dicembre 2013

COME CANTARE IN TERRA STRANIERA…?

 In questo periodo natalizio, questo clima di festa fatto di colori, di regali, di famiglia, di canti… dovrebbe spingerci alla ricerca di quell’ attimo d’ intimità perduta con noi stessi, ad un momento di riflessione sulla vita, sulle esperienze di questa nostra vita che, a volte, sono così forti che ci stravolgono l’intera esistenza, che cambiano radicalmente i nostri progetti del presente e del futuro e con le quali bisogna misurarsi, adeguarsi… ricominciare anche.
Si pensa alla vita, a volte, come a qualcosa di statico, di monotono, sempre uguale… quella che viene chiamata ‘'routine familiare’'; in realtà la vita è la cosa più dinamica che ci sia, perché non c’è un momento uguale ad un altro, apparentemente le feste, per esempio, si rinnovano tutte uguali le une alle altre, per anni, ma quante cose cambiano e non ce ne accorgiamo!  In alcuni casi i cambiamenti sono più visibili, in altri un po’ meno, ma nessun momento si ripete uguale a se stesso, l’attimo che è appena passato non torna più!
E l’attimo che passa non passa invano, perché porta con sé una parte di noi e riempie noi di qualcosa in più che prima non c’era.
L’attimo non è mai vuoto, è pieno di noi, dei nostri pensieri, delle nostre azioni, dei nostri sogni, della nostra vita. La nostra vita è fatta da un susseguirsi di attimi, che ci maturano, ci fanno crescere, ci conducono lungo vie consuete ma in maniera diversa, a volte anche in maniera inconsueta. 
Il tempo non ci scorre addosso inutilmente, ma ci riempie dentro profondamente!
Pensavo, dicevo, in questo periodo di feste… alla nostalgia che ci sovviene sempre al termine di un anno che finisce, del tempo che passa e non torna più, e all’ attesa per il tempo che verrà…  l’attesa che porta sempre con sé un desiderio, un bisogno, un sogno da realizzare… e mi veniva in mente un canto famosissimo, ad un canto che è, allo stesso tempo, canto di nostalgia e  canto di attesa: il VA’ PENSIERO, uno dei cori più noti della storia dell’Opera, collocato nella parte terza del Nabucco di Giuseppe Verdi del 1842, dove viene cantato dagli Ebrei prigionieri in Babilonia.
Lo riporto qui sotto nella sua versione originale a cui segue la parafrasi, perché per chi non conosce il contesto socio-storico non è facile capirne il significato…
VA' PENSIERO


             Va' pensiero, sull'ali dorate;
Va, ti posa sui clivi, sui colli,
Ove olezzano tiepide e molli
L'aure dolci del suolo natal!
           
            Del Giordano le rive saluta,
Di Sïonne le torri atterrate...
Oh mia patria sì bella e perduta!
Oh membranza sì cara e fatal!
             Arpa d'or dei fatidici vati,
Perché muta dal salice pendi?
Le memorie nel petto raccendi,
Ci favella del tempo che fu!
          
           O simile di Solima ai fati
           Traggi un suono di crudo lamento,
          O t'ispiri il Signore un concento
          Che ne infonda al patire virtù!
...........................
Va’ Pensiero, sulle tue ali d'oro
Va’ e posati sui pendii e sulle dolci colline,
Dove profuma tiepida e deliziosa,
L'aria della nostra terra natale.

Lascia le rive del Giordano,
Lascia le torri distrutte di Sion!
Oh mia Patria, così bella ma perduta,
Oh ricordo così caro, ma così doloroso.

Arpa d’oro ispiratrice dei grandi Poeti,
Perché taci e ti abbandoni al pianto?
Riaccendi nel nostro cuore i ricordi,
Parlaci ancora della nostra Storia gloriosa!

Memore della sorte di Gerusalemme,
Fai risuonare un canto di cocente dolore,
Oppure il Signore ti ispiri una musica,
Che sappia farci reagire alla sofferenza


La trama storica è basata sulla conquista di Gerusalemme da parte di Nabucodonosor (587 a.C.), che mise fine al regno di Giuda, e sulla deportazione degli Ebrei a Babilonia.
Il coro  è quello, appunto, dei prigionieri, incatenati al lavoro, che rimpiangono la patria perduta.
La sottomissione degli Ebrei e il loro canto nostalgico furono interpretati come simbolo della condizione degli italiani soggetti al dominio austriaco. Il coro del Nabucco divenne da allora uno degli inni dei moti risorgimentali; è stato, anche, più volte proposto addirittura come Inno nazionale, ma su questo argomento è stato autorevolmente fatto osservare che Va’ pensiero è un canto dei perdenti: un episodio carico di dramma in cui gli Ebrei piangono la loro sconfitta senza alcuna visione di un futuro migliore. A questo atteggiamento di rassegnazione Verdi fa reagire il gran sacerdote Zaccaria che subito dopo il coro canta: Sorgete, sorgete e non piangete come femmine imbelli.
Sicuramente Verdi con il suo Coro non intendeva fomentare lo spirito rivoluzionario che serpeggiava nel nord Italia contro gli austriaci, ma se infiammò i cuori patriottici fu perché in quel canto accorato di un popolo esule, schiavo e perdente essi si rispecchiavano.
Mi direte: cosa c’entra questo canto con il Natale e la situazione degli immigrati e dei rifugiati?
C’entra perché questo canto mi ha fatto riflettere su una cosa: per noi Italiani stare in Italia  è un fatto normale, ci sentiamo a casa nostra dovunque, tutto ci è familiare, tutto ci fa sentire padroni di ciò che ci circonda, tutto ci appare ‘’normale’’, parliamo la nostra lingua, viviamo la nostra cultura, conosciamo le nostre leggi…, è la nostra patria e quindi la nostra culla, il luogo dove abbiamo costruito la nostra identità sulla base dell’esperienza vissuta proprio nel luogo dove siamo nati; ma proviamo a spostarci dall’altra parte, cioè a metterci nei panni degli immigrati, di chi viene nella nostra patria e capiremo subito che la prospettiva da cui si guardano le stesse cose cambia completamente: quella stessa Terra… che per noi è casa nostra… per  loro… è terra straniera!
TERRA STRANIERA!
E qui mi viene in mente il salmo 136 : ‘’ Lungo i fiumi di Babilonia, la sedevamo e piangevamo, ricordandoci di Sion. Ai salici di quella terra appendemmo le nostre cetre, perché là ci chiedevano parole di canto coloro che ci avevano deportato, allegre canzoni, i nostri oppressori: - Cantateci i canti di Sion! - . Come cantare i canti del Signore in terra straniera? ‘
È il lamento di chi è costretto a lasciare la propria terra e i propri affetti e vivere altrove, maltrattato, sfruttato, ignorato o peggio ancora ‘’usato’’!
E mi vengono in mente anche i canti degli schiavi negri deportati nell’America mentre lavoravano nelle piantagioni di cotone. I loro lamenti. La loro sofferenza.
La Storia è piena di esili, di esodi, di tratte, di mercificazione del genere umano, di abuso della ‘’vita umana’’ e il desiderio della propria patria è uno dei desideri più laceranti di coloro che sono costretti a vivere lontani dalla propria terra, a sentirsi stranieri in terra straniera dove anche il canto non è più quello della gioia, ma quello del ‘’lamento’’, dello struggimento per un desiderio impossibile, un bisogno irraggiungibile. Una lacerazione che non sempre può essere ricucita.
Sono diverse le situazioni, come sono diversi i tempi e i popoli coinvolti: i patrioti italiani sotto la dominazione austriaca si rispecchiavano negli stessi sentimenti degli Ebrei sotto la schiavitù egiziana, la loro stessa situazione emotiva era stata vissuta da coloro che erano stati strappati dalla loro Terra con la forza e trasportati in terre straniere… e  certamente non molto diversa è la situazione degli immigrati, dei rifugiati che oggi affollano le nostre coste… non molto diversa è la loro vita né il loro legittimo lamento; se pure possano essere diversi i motivi, purtroppo non diversi sono i modi e le conseguenze!
In terra straniera è difficile cantare canti di gioia!
E questo vale per ogni uomo e per ogni tempo!
Chi viene da fuori si trova immerso in un ambiente completamente diverso da quello in cui è cresciuto, con una cultura diversa, una lingua diversa, un contesto diverso…: come cantare in terra straniera? Anche se questa terra offre loro una via di salvezza… resta sempre… terra straniera!
È uno strappo interiore profondo quella che viene fatto nella loro vita: che sia per un futuro migliore e per una speranza di vita in più… resta sempre la ferita dell’essere stati costretti a lasciare la propria terra!
Bisogna mettersi nei loro panni e guardare le cose con i loro occhi: gli Ebrei prigionieri desideravano il profumo dell’aria della terra natale!
Ogni patria ha il suo profumo!
Quanto gli immigrati sentono la nostalgìa per la propria patria?
Quanto sognano le loro terre, i profumi della loro terra, i profumi della loro casa, il calore della loro casa?
Quante volte al giorno il loro pensiero vola alla loro patria?
Che nella loro patria ci sia la guerra, la rivoluzione, la miseria o la persecuzione… non importa… anzi rende ancora più doloroso il pensiero, perché alla nostalgia si aggiunge la sofferenza per la pace che non c’è, per le condizioni disumane in cui popoli interi sono costretti a vivere.
‘’Oh mia Patria, così bella ma perduta. Oh ricordo così caro, ma così doloroso.’’
Ogni patria resta sempre la propria patria, indipendentemente dalle condizioni socio-politiche in cui si trova.
Parliamo di patria nel senso di casa, di famiglia, di intimità, di vita, di esperienze vissute, quelle esperienze che ci formano dentro e fuori, che ci fanno diventare quelli che siamo.
Un immigrato non è una lavagna pulita, sulla quale si comincia a scrivere dal giorno in cui sbarca a Lampedusa!
Ogni immigrato porta un bagaglio di vita che gli è ricordo ‘’ così caro, ma così doloroso.’’.
Basta parlare con loro per pochi minuti per capire quanto grande sia il dolore che si portano dentro per quella ‘’patria sì bella e perduta’’.
La loro condizione sembra apparentemente diversa da quella degli Ebrei, ma forse diversa non lo è molto, si parla di prigionìa in entrambi i casi, anche se con modalità diverse: gli Ebrei erano deportati, schiavi, costretti a lavorare in condizioni estreme, fra minacce e percosse.
Gli immigrati sono prigionieri della burocrazìa, (non della legalità, di ciò che è giusto), ma del superfluo, delle lungaggini, delle burocraggini… delle indifferenze o, al contrario, delle aggressioni razziste, della violenza ideologica… prigionieri sì… prigionieri di una libertà che non è nemmeno condizionata ma solo … presunta! Una libertà che non esiste!
Bisogna vederli i centri di accoglienza, bisogna viverli i centri di immigrazione!!!
Di tanto in tanto qualche giornalista riesce ad infiltrarsi all’interno di questi centri e il reportage che ne fa  è da brivido!
Sembra di sentire i ‘’canti di cocente dolore’’ per le condizioni attuali e quelle passate.
E mi chiedo: come fare festa noi… con nelle orecchie i canti silenziosi, taciuti, nascosti, raramente espressi degli immigrati, che frantumano con il loro silenzio agghiacciante questo clima di festa… come far festa!
Non si può fare festa fino a quando c’è un solo uomo che soffre, una sola madre che piange, un solo figlio che sogna un futuro che forse non avrà!
Non si può far festa… con il fratello che ti muore accanto… la nostra cecità e il nostro egoismo offendono la festa stessa che ci apprestiamo a celebrare!
 È necessario che qualcuno riaccenda nel loro cuore la speranza, che qualcuno parli loro  ancora della Storia gloriosa della loro patria… che qualcuno gli renda questo Paese straniero… un po’ meno straniero!
Che qualcuno li aiuti a reagire alla sofferenza, che qualcuno li sollevi dalla disperazione di un futuro che non c’è… è necessario recuperare la nostra storia per far sì che la Storia non si ripeta ugualmente dolorosa per altri, è necessario non dimenticare le sofferenze del proprio popolo per poter comprendere quelle degli altri popoli, dell’altro uomo… dell’altro fratello!
È necessario ricordare che la divisione in popoli è opera dell’uomo.
Dio ha creato una sola razza che è quella umana; la nostra è una divisione tutta terrena, di natura geografica e storica, legata alle dimensioni spazio-temporali del nostro esistere, ma non ha radici nel Principio Creatore che sta all’origine della Creazione stessa.
Tutti diversi fuori, ma tutti uguali dentro!
Quanto tempo ancora occorrerà per capire questo?
Eppure la nostra intelligenza ne ha fatta di strada!
Ecco… forse il punto è proprio questo: l’intelligenza ha continuato ad avanzare a grandi passi… il cuore invece si è arenato… affondato nelle sabbie mobili del benessere materiale… ed adesso che anche questo benessere viene meno… ci ritroviamo ‘’deserto’’… aridi dentro e fuori, sterili, non più fecondi nell’amore, incapaci di riconoscerci fratelli, freddi e gelidi come ogni cuore che ha dimenticato i tempi dell’amore, le meraviglie dell’amore, le gioie dell’amore, la bellezza dell’amore…
Quando il freddo congela le nostre membra corriamo subito ai ripari, non resistiamo per molto alle temperature siderali, abbiamo bisogno immediato di calore… siamo però capaci di tenere nel gelo più assoluto il nostro cuore da tempo indeterminato e non sentiamo più i suoi gemiti, è assiderato, congelato sotto la coltre di ghiaccio sotto il quale lo abbiamo seppellito da sempre.
L’uomo non sopporta il gelo del suo corpo… eppure alimenta quotidianamente quello del suo cuore!
Come è possibile che possano coesistere due nature, due misure, due situazioni uguali risolte in maniera diversa, anzi l’una immediatamente risolta… l’altra eternamente irrisolta!
 La Storia ci è sempre Maestra, forse dovremmo imparare ad andare oltre le date e le parole e cogliere i sentimenti che animano quelle parole.
Il VA PENSIERO è un breve testo ma suscita una quantità infinita di emozioni e di sentimenti, anche a distanza di secoli.
Le parole un tempo infiammavano gli animi, restituivano l’uomo a se stesso, parlavano la lingua dei sentimenti veri, non quella della burocrazia, non quella della retorica sterile e accusatoria né quella della demagogia a fini propagandistici.
La parola è uno strumento forte… che oggi invece viene abusata e maltrattata.
Le tante parole vuote e sterili tolgono spazio ai fatti urgenti e necessari.
Come sarebbe bello se per questo Natale la temperatura interna del nostro cuore fosse per una volta superiore a quella esterna del nostro corpo!
Invece di accendere inutilmente le luci dell’albero di Natale, per una festa che non sappiamo infiammare di vero amore… sarebbe bello accendere il fuoco che dovrebbe ardere nel cuore, quel fuoco che non consuma, che non si spegne, che riscalda veramente e scioglie quel ghiaccio sotto il quale l’Umanità ha da tempo seppellito la sua … umanità!
Generalmente, per il Natale, i bambini si impegnano ad essere più buoni… gli adulti, invece, questo non lo fanno più: pensano forse di essere già abbastanza buoni per non doversi più impegnare ad esserlo un po’ di più!?
Forse lo pensano anche, ma sicuramente si tratta di semplice bontà presunta, perché la realtà smentisce ampiamente questa convinzione!
 Si dovrebbero impegnare ad essere più buoni, invece, per un tempo un po’ più lungo delle feste di Natale… diciamo per tutti gli anni della loro vita… affinchè quel ‘’VA PENSIERO’’ non sia più un pensiero che vada a riempire le pagine della Storia di lacrime e sofferenze… ma sia il nostro pensiero d’amore che va dove ci porta il cuore e il cuore non può non portarci da chi ha bisogno d’amore!
E chi sono quelli che hanno bisogno di amore!
Non un nome solo. Non un numero che quantifica.
Ma l’uomo di ieri, di oggi, di sempre, di qui, di là e dovunque.
L’uomo. Ogni uomo.
L’uomo è stato fatto con amore e questa sua natura originaria, quest’impronta iniziale non può cancellarla nessuno, non può ignorarla nessuno, l’uomo è fatto per amare e per essere amato.
Se non siamo amati ne soffriamo da morire.
Se invece noi non amiamo, moriamo senza soffrire!
Nel più gelido squallore che la vita possa conoscere mai!
L’amore è l’unica realtà di cui nessuno può farne a meno!
Eppure… guardando questo mondo in questi giorni natalizi … la realtà smentisce questa affermazione: ci si accorge che non ci si può fare a meno del parrucchiere, dell’estetista, del ristorante, del viaggio alle Canarie, della settimana bianca... di tutto ciò che si compra con i soldi (nonostante la crisi!)… mentre dell’amore, che è gratuito, di quello… non sappiamo che farcene!
Per chi ama… Natale non è un solo giorno all’anno… ma un anno intero vissuto come il giorno di Natale: nell’amore per Dio e per i fratelli!
Natale è il giorno dell’Amore che viene. E se viene è per restarci per sempre!
Forse dovremmo chiederci quanto dura per noi il Natale: se un giorno, un anno, un solo istante… o tempo zero, assenza totale!
Se per contrastare l’atteggiamento di rassegnazione degli Ebrei che piangevano la loro sconfitta e il futuro che non c’era più davanti a loro, Giuseppe Verdi mette sulla bocca di Zaccaria un canto di  speranza, di incoraggiamento, che li scuotesse dalla disperazione che portava con sé la prigionìa che durava da troppo tempo… forse anche oggi, in cui l’atteggiamento di disperazione e di rassegnazione appartiene ad altri popoli che sono costretti a fuggire dalla loro terra, anche oggi occorre un Zaccaria che sollevi l’anima dall’indigenza mortale della sua indifferenza e che alzi forte la sua voce: ’’Sorgete, sorgete e non piangete come femmine imbelli.’’
Sì, risorgere dalla nostra indifferenza, dalla nostra rassegnazione, smetterla di piangersi addosso, come donne paurose, risorgere dal materialismo che ci svuota e ci rende inutili a noi stessi e agli altri, risorgere dal gelo che iberna i nostri sentimenti, che uccide il nostro cuore… sì… risorgere dalla morte dell’amore… forse è il miracolo giusto… per questo Natale!
Chissà che il ‘’Va’ pensiero’’ da ‘’canto dei perdenti’’ non diventi il … canto della speranza e della Vita nuova che in noi viene a portarci… l’Amore!
 La Vita però non è un canto dell’Opera… la scena non cambia cambiando semplicemente delle scenografie… cambia se a cambiare è tutta la vita che ci portiamo dentro e che viviamo fuori.
NOI SIAMO VITA.
NOI SIAMO LA VITA.

Se noi cambiamo… cambia anche la vita,

la nostra e quella degli altri!

 
Ed è questo il mio augurio per questo Natale

per tutti coloro che vorranno tenere accesa

o vorranno accendere nel loro cuore

la fiamma dell’Amore

che è prima di tutto

ACCOGLIENZA!

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