lunedì 2 dicembre 2013

PENSIERI FATTI PER DIVENTAR SPERANZE
(seconda parte)
2 novembre: giorno dei morti. Nasce giardino della memoria per ricordare i migrantiFra le iniziative successive alla tragedia del 3 ottobre scorso, c’è stata quella della ‘’Fondazione Migrantes’’ che in una nota del 2 novembre così si esprimeva:
“Il 2 novembre si commemorano nelle nostre comunità tutti i defunti. Quest’anno non possiamo dimenticare i nostri fratelli e le nostre sorelle morti tragicamente nel Mediterraneo durante i viaggi della speranza e sepolti nei cimiteri del nostro Paese. Una morte assurda, vergognosa – come ha ricordato Papa Francesco – che richiama la responsabilità dell’Italia e dell’Europa a nuove forme e strumenti di protezione internazionale, ma anche di cooperazione per lo sviluppo e la pace dei popoli. Dall’inizio dell’anno sono già oltre settecento i morti accertati nel canale di Sicilia: eritrei, somali, egiziani, palestinesi, nigeriani, sudanesi…persone di cui non conosciamo il nome e che sono diventati numeri. Altre morti sono avvenute durante il viaggio nel deserto, nelle carceri libiche, nelle violenze di gruppo.
Nelle visite ai cimiteri, ricordiamo “I grandi cimiteri sotto la luna” – per parafrasare G. Bernanos – uno dei quali è il Mediterraneo: un segno della nostra incapacità di difendere e tutelare il cammino dei più deboli, migranti e rifugiati. Nella preghiera ricordiamo i tanti morti di questi anni nel Mare nostrum, ripensando con G. Bernanos un passo del “sermone dell’incredulo” che provoca anche il nostro impegno e la nostra responsabilità: “Voi la vostra fede non l’avete vissuta e allora essa è diventata astratta, è come disincarnata. Forse è in questa disincarnazione del Verbo la sorgente delle nostre disgrazie”.
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Ecco, Bernanos fa sintesi perfetta di questo nostro secolo, di questo nostro ‘’pensare di agire e… agire senza pensare’’, cioè passiamo più tempo (se non tutto il tempo!), a pensare senza mai aver tempo per agire, tanto che la nostra vita è diventata astratta… troppo astratta, si suol dire ‘’liquida’’ negli ultimi tempi, ma qualcuno va già oltre e dice ‘’aerea’’, cioè inconsistente, cioè come il fumo, come un gas, come l’aria: c’è, ha i suoi effetti su di noi, ma non riusciamo più ad afferrarla, a fermarla, a contenerla; ci sfugge nella sostanza; è una vita non più ‘’nei fatti e nella verità’’, ma nelle parole e nei sogni, nelle possibilità che sfuggono sempre… è la vita delle occasioni perdute, dei treni passati, delle fermate perse, del ‘’poi si vedrà…’’, del ‘’ domani è un altro giorno’’.

È la vita del tempo che verrà… ma che, purtroppo, non viene mai; è la vita rivolta ad un futuro che non diventa mai presente, resta futuro all’infinito.

È una vita pericolosa così, perché non ci permette di cogliere l’attimo che passa e soprattutto perché gli attimi che passano…non sono indolori; sono attimi di sofferenza e di attese, di sacrifici e di bisogni primari mai soddisfatti.

Un conto è passare la vita in una casa, con un lavoro e una famiglia… un conto è passarla in perenne attesa di un documento, di un lasciapassare, di un pasto caldo che… chissà se oggi ci sarà, di un lavoro che… chissà se mai arriverà… di un ritorno a casa che… chissà se mai sarà possibile, di una vita più normale che … chissà se ci sarà mai concessa.

È la vita che si passa in attesa che qualcuno ci conceda qualcosa, compreso il diritto di vivere!

Chi vive dell’oggi, del poco o del niente che l’oggi offre… aspettare un ipotetico futuro diventa lacerante, perché non si può vivere in attesa continua, del ‘’chissà domani se ci sarà ancora posto per me, vita per me, cibo per me, speranza per me…’’

Un uomo non può vivere aspettando i percorsi burocratici che durano una vita.

È necessario dare risposte subito, nell’immediatezza delle necessità della realtà quotidiana, perché la vita si muove al presente, all’oggi, non al futuro.

In questo mondo dove l’attesa è diventata ormai di casa in ogni contesto, anche la parola ‘speranza’’ si  è svuotata del suo senso, abusata com’è in questo nostro quotidiano parlare e sparlare, aspettare… all’infinito… aspettare… anche quando si può evitare di aspettare… ma per buona consuetudine usata… occorre sempre … aspettare… aspettare… aspettare!

Dice papa Francesco di non lasciarci rubare la speranza, ma più che la speranza ci è stato rubato il senso dello sperare, che non è uno ‘’sperare per sperare’’, cioè uno sperare a vuoto, ma uno ‘’sperare nella Speranza’’ cioè uno sperare restando nella realtà, vivendo la realtà impegnandosi a dare ragione di quella Speranza che ci si porta dentro.

Dice bene Bernanos che questo nostro astrattismo virtuale diventa fonte di problemi… e dice bene perché nel momento in cui non si agisce più, il problema prende il sopravvento e ci assorbe in sé, trasformando noi stessi in problema, cioè in ostacolo per la soluzione stessa del problema che intendiamo risolvere.

Tutti gli ostacoli alle soluzione dei problemi vengono più dalle ideologie e dagli ideologismi che dalle reali impossibilità di soluzione. E questi ideologismi crescono dentro di noi, vengono da noi, agiscono in noi trasformandoci in ciò che non siamo e ci tolgono quelle capacità di agire nella realtà in vista di una necessità concreta, facendoci indugiare all’infinito e senza motivo alcuno.

Occorre crescere, aprirsi, allargare il cuore… occorre scegliere di amare e in virtù di quest’amore comprendere che gli attimi che passano in attesa di una decisione, di un’azione, di una scelta, possono costare la vita a dieci, cento, mille… persone che vivono in attesa di un ‘’Sì…’’.

Queste vite non sono vite astratte, ma vite reali, vite umane che  chiedono solo ciò che ad ogni vita umana è dovuto: rispetto e dignità.

Ma perché la nostra vita cambi e si orienti al ‘’fare’’ più che al ‘’pensare di fare’’ è necessario entrare in relazione con l’altro e sposare i bisogni dell’altro, sentire su di sé le emergenze  altrui, farle diventare parte del proprio impegno quotidiano… solo in questo caso non ci sarà più tempo da attendere, ma, al contrario, ogni cosa non avrà più tempo, tutto deve essere affrontato e risolto al più presto, nel più breve tempo possibile, perché la vita è vita ad ogni latitudine e perchè sotto ogni pelle – bianca o colorata che sia – batte un cuore che chiede aiuto e amore oggi… non domani!

Ma l’amore, che pur resta la nostra massima aspirazione e il nostro bisogno più grande, resta anche la nostra più grande limitazione: si ha, paradossalmente, paura di amare, perché i preconcetti, i pregiudizi, l’ignoranza sociale, cioè la mancata conoscenza della ricchezza che l’altro è per noi, ci chiude nei nostri recinti, ci allontana dall’altro, ci impedisce di vivere in libertà il nostro innato bisogno di vivere con l’altro.

I nostri occhi sembra che non vedano altro che ‘’colori’’, solo colori che ci dividono, dimenticando che ogni colore porta in sé una Vita che è ciò che unisce tutti i colori.

La nostra è ‘’un’Umanità a colori’’, ma non dimentichiamoci che esiste una sola razza ‘’la Razza Umana’’.

Ecco, non ci fermiamo ai colori e non penetriamo l’Umanità di cui quel colore è espressione!

Sperare che tutto questo venga superato è nostro dovere, ma ancor più lo è l’impegnarsi perché tutto questo venga superato prima di tutto dentro il nostro cuore, perché il mondo comincia da noi, il cambiamento prima di essere al plurale è al singolare, il cambiamento è personale, soltanto dopo diventa collettivo: il cambiamento collettivo è la somma dei cambiamenti personali.

E la somma si fa… aggiungendo sempre un numero dopo l’altro… io – tu – lui –lei- noi…

Ma noi speriamo sempre che sia la ‘’società tutta’’ a cambiare, come una grande rivoluzione mondiale che da un giorno all’altro capovolga il mondo intero…  pensiamo alla società come ad un CORPO UNICO, che agisca come tale… in effetti la Società è un Corpo Unico… ma fatto da tante singolarità, da tante singole particelle ognuna delle quali  è parte attiva, parte fondante dell’Unico Corpo, per cui ogni particella agisce e decide e poi trasmette a chi sta a fianco ciò che ha deciso.

Così io posso scegliere di cambiare e andare, correndo, incontro all’altro… oppure posso scegliere di restare chiuso nei miei personali bisogni ed interessi e chiudermi all’altro.

Ecco, la Società, questo Corpo Unico è fatto di scelte e decisioni singole, dalla loro somma verrà fuori l’identità dell’intera Società: una Società nuova, che si rinnova e si apre all’altro, chiunque egli sia e decide di camminare a passi svelti verso ogni bisogno umano oppure una Società egoistica che rivolge lo sguardo solo su se stessa e preferisce piangersi addosso, strapparsi i capelli come le donne greche di antica memoria, per una sceneggiata voluta dalla tradizione più che per effettivo dolore per ciò che è accaduto.

’La Società la facciamo noi’’ non è solo uno slogan: è la VERITA’.

Forse il primo passo verso quel cambiamento auspicato in tante belle decantate cerimonie pubbliche è proprio quello del ‘’decidere di cambiare’’, ognuno per sé… soltanto la somma delle singole decisioni può portare ad un reale cambiamento collettivo.

Occorre decidere, occorre agire, occorre desiderare fortemente ciò che si spera, solo così la forza interiore potrà trasformarsi in motore propulsivo per un’azione concreta in cui spendersi fino in fondo.

Il cambiamento non è impossibile… ma bisogna ardentemente volerlo.

A me pare che questo ‘’ardore’’, però, sia un po’ freddo, forse un po’ troppo, c’è gelo intorno, una leggera tiepidezza in alcuni casi, rari i fuochi accesi… più unici che rari gli incendi!

Forse ognuno di noi dovrebbe fare il punto dentro di sé… e dire a se stesso: ma quanto speri? Quanto desideri veramente ciò che speri? Quanto sei disposto a spenderti per questa speranza?

Quanto la tua speranza si basa su azioni concrete, azioni dell’oggi e non del domani?

E come dice papa Francesco… ognuno risponda per sé, in sé… ognuno risponda di sé… a se stesso…  e a Dio!

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