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| PENSIERI FATTI PER DIVENTAR SPERANZE |
(seconda parte)
Fra le iniziative successive alla tragedia del 3
ottobre scorso, c’è stata quella della ‘’Fondazione Migrantes’’ che in una nota
del 2 novembre così si esprimeva: “Il 2 novembre si commemorano nelle nostre comunità tutti i defunti. Quest’anno non possiamo dimenticare i nostri fratelli e le nostre sorelle morti tragicamente nel Mediterraneo durante i viaggi della speranza e sepolti nei cimiteri del nostro Paese. Una morte assurda, vergognosa – come ha ricordato Papa Francesco – che richiama la responsabilità dell’Italia e dell’Europa a nuove forme e strumenti di protezione internazionale, ma anche di cooperazione per lo sviluppo e la pace dei popoli. Dall’inizio dell’anno sono già oltre settecento i morti accertati nel canale di Sicilia: eritrei, somali, egiziani, palestinesi, nigeriani, sudanesi…persone di cui non conosciamo il nome e che sono diventati numeri. Altre morti sono avvenute durante il viaggio nel deserto, nelle carceri libiche, nelle violenze di gruppo.
Nelle visite ai cimiteri, ricordiamo “I grandi cimiteri sotto la luna” – per parafrasare G. Bernanos – uno dei quali è il Mediterraneo: un segno della nostra incapacità di difendere e tutelare il cammino dei più deboli, migranti e rifugiati. Nella preghiera ricordiamo i tanti morti di questi anni nel Mare nostrum, ripensando con G. Bernanos un passo del “sermone dell’incredulo” che provoca anche il nostro impegno e la nostra responsabilità: “Voi la vostra fede non l’avete vissuta e allora essa è diventata astratta, è come disincarnata. Forse è in questa disincarnazione del Verbo la sorgente delle nostre disgrazie”.
Ecco,
Bernanos fa sintesi perfetta di questo nostro secolo, di questo nostro ‘’pensare di agire e… agire senza pensare’’, cioè passiamo più
tempo (se non tutto il tempo!), a pensare senza mai aver tempo per agire, tanto
che la nostra vita è diventata astratta… troppo astratta, si suol dire ‘’liquida’’ negli ultimi tempi, ma
qualcuno va già oltre e dice ‘’aerea’’,
cioè inconsistente, cioè come il fumo, come un gas, come l’aria: c’è, ha i suoi
effetti su di noi, ma non riusciamo più ad afferrarla, a fermarla, a
contenerla; ci sfugge nella sostanza; è una vita non più ‘’nei fatti e nella
verità’’, ma nelle parole e nei sogni, nelle possibilità che sfuggono sempre… è
la vita delle occasioni perdute, dei treni passati, delle fermate perse, del ‘’poi
si vedrà…’’, del ‘’ domani è un altro giorno’’.
È la vita
del tempo che verrà… ma che, purtroppo, non viene mai; è la vita rivolta ad un
futuro che non diventa mai presente, resta futuro all’infinito.
È una vita
pericolosa così, perché non ci permette di cogliere l’attimo che passa e
soprattutto perché gli attimi che passano…non sono indolori; sono attimi di
sofferenza e di attese, di sacrifici e di bisogni primari mai soddisfatti.
Un conto è
passare la vita in una casa, con un lavoro e una famiglia… un conto è passarla
in perenne attesa di un documento, di un lasciapassare, di un pasto caldo che…
chissà se oggi ci sarà, di un lavoro che… chissà se mai arriverà… di un ritorno
a casa che… chissà se mai sarà possibile, di una vita più normale che … chissà
se ci sarà mai concessa.
È la vita
che si passa in attesa che qualcuno ci conceda qualcosa, compreso il diritto di
vivere!
Chi vive
dell’oggi, del poco o del niente che l’oggi offre… aspettare un ipotetico
futuro diventa lacerante, perché non si può vivere in attesa continua, del ‘’chissà domani se ci sarà ancora posto per
me, vita per me, cibo per me, speranza per me…’’
Un uomo non
può vivere aspettando i percorsi burocratici che durano una vita.
È necessario
dare risposte subito, nell’immediatezza delle necessità della realtà quotidiana,
perché la vita si muove al presente, all’oggi, non al futuro.
In questo
mondo dove l’attesa è diventata ormai di casa in ogni contesto, anche la parola
‘speranza’’ si è svuotata del suo senso, abusata com’è in
questo nostro quotidiano parlare e sparlare, aspettare… all’infinito… aspettare…
anche quando si può evitare di aspettare… ma per buona consuetudine usata…
occorre sempre … aspettare… aspettare… aspettare!
Dice papa
Francesco di non lasciarci rubare la speranza, ma più che la speranza ci è
stato rubato il senso dello sperare,
che non è uno ‘’sperare per sperare’’,
cioè uno sperare a vuoto, ma uno ‘’sperare
nella Speranza’’ cioè uno sperare restando nella realtà, vivendo la realtà
impegnandosi a dare ragione di quella Speranza che ci si porta dentro.
Dice bene
Bernanos che questo nostro astrattismo virtuale diventa fonte di problemi… e
dice bene perché nel momento in cui non si agisce più, il problema prende il
sopravvento e ci assorbe in sé, trasformando noi stessi in problema, cioè in ostacolo per la soluzione stessa del problema che
intendiamo risolvere.
Tutti gli
ostacoli alle soluzione dei problemi vengono più dalle ideologie e dagli
ideologismi che dalle reali impossibilità di soluzione. E questi ideologismi
crescono dentro di noi, vengono da noi, agiscono in noi trasformandoci in ciò
che non siamo e ci tolgono quelle capacità di agire nella realtà in vista di
una necessità concreta, facendoci indugiare all’infinito e senza motivo alcuno.
Occorre
crescere, aprirsi, allargare il cuore… occorre scegliere di amare e in virtù di
quest’amore comprendere che gli attimi che passano in attesa di una decisione,
di un’azione, di una scelta, possono costare la vita a dieci, cento, mille…
persone che vivono in attesa di un ‘’Sì…’’.
Queste vite
non sono vite astratte, ma vite reali, vite umane che chiedono solo ciò che ad ogni vita umana è
dovuto: rispetto e dignità.
Ma perché la
nostra vita cambi e si orienti al ‘’fare’’
più che al ‘’pensare di fare’’ è
necessario entrare in relazione con l’altro e sposare i bisogni dell’altro,
sentire su di sé le emergenze altrui,
farle diventare parte del proprio impegno quotidiano… solo in questo caso non
ci sarà più tempo da attendere, ma, al contrario, ogni cosa non avrà più tempo,
tutto deve essere affrontato e risolto al più presto, nel più breve tempo
possibile, perché la vita è vita ad ogni latitudine e perchè sotto ogni pelle –
bianca o colorata che sia – batte un cuore che chiede aiuto e amore oggi… non
domani!
Ma l’amore,
che pur resta la nostra massima aspirazione e il nostro bisogno più grande,
resta anche la nostra più grande limitazione: si ha, paradossalmente, paura di
amare, perché i preconcetti, i pregiudizi, l’ignoranza sociale, cioè la mancata
conoscenza della ricchezza che l’altro è per noi, ci chiude nei nostri recinti,
ci allontana dall’altro, ci impedisce di vivere in libertà il nostro innato
bisogno di vivere con l’altro.
I nostri
occhi sembra che non vedano altro che ‘’colori’’,
solo colori che ci dividono, dimenticando che ogni colore porta in sé una Vita
che è ciò che unisce tutti i colori.
La nostra è ‘’un’Umanità a colori’’, ma non
dimentichiamoci che esiste una sola razza ‘’la
Razza Umana’’.
Ecco, non ci
fermiamo ai colori e non penetriamo l’Umanità di cui quel colore è espressione!
Sperare che
tutto questo venga superato è nostro dovere, ma ancor più lo è l’impegnarsi
perché tutto questo venga superato prima di tutto dentro il nostro cuore,
perché il mondo comincia da noi, il cambiamento prima di essere al plurale è al
singolare, il cambiamento è personale, soltanto dopo diventa collettivo: il
cambiamento collettivo è la somma dei cambiamenti personali.
E la somma si fa… aggiungendo sempre un numero dopo l’altro… io – tu – lui –lei-
noi…
Ma noi
speriamo sempre che sia la ‘’società tutta’’ a cambiare, come una grande
rivoluzione mondiale che da un giorno all’altro capovolga il mondo intero… pensiamo alla società come ad un CORPO UNICO,
che agisca come tale… in effetti la Società è un Corpo Unico… ma fatto da tante
singolarità, da tante singole particelle
ognuna delle quali è parte attiva, parte
fondante dell’Unico Corpo, per cui ogni particella
agisce e decide e poi trasmette a chi sta a fianco ciò che ha deciso.
Così io
posso scegliere di cambiare e andare, correndo, incontro all’altro… oppure
posso scegliere di restare chiuso nei miei personali bisogni ed interessi e
chiudermi all’altro.
Ecco, la Società,
questo Corpo Unico è fatto di scelte e decisioni singole, dalla loro somma
verrà fuori l’identità dell’intera Società: una Società nuova, che si rinnova e
si apre all’altro, chiunque egli sia e decide di camminare a passi svelti verso
ogni bisogno umano oppure una Società egoistica che rivolge lo sguardo solo su se
stessa e preferisce piangersi addosso, strapparsi i capelli come le donne
greche di antica memoria, per una sceneggiata voluta dalla tradizione più che
per effettivo dolore per ciò che è accaduto.
‘’La Società la facciamo noi’’ non è
solo uno slogan: è la VERITA’.
Forse il
primo passo verso quel cambiamento auspicato in tante belle decantate cerimonie
pubbliche è proprio quello del ‘’decidere
di cambiare’’, ognuno per sé… soltanto la somma delle singole decisioni può
portare ad un reale cambiamento collettivo.
Occorre
decidere, occorre agire, occorre desiderare fortemente ciò che si spera, solo
così la forza interiore potrà trasformarsi in motore propulsivo per un’azione
concreta in cui spendersi fino in fondo.
Il
cambiamento non è impossibile… ma bisogna ardentemente volerlo.
A me pare
che questo ‘’ardore’’, però, sia un
po’ freddo, forse un po’ troppo, c’è gelo intorno, una leggera tiepidezza in
alcuni casi, rari i fuochi accesi… più unici che rari gli incendi!
Forse ognuno
di noi dovrebbe fare il punto dentro di sé… e dire a se stesso: ma quanto
speri? Quanto desideri veramente ciò che speri? Quanto sei disposto a spenderti
per questa speranza?
Quanto la
tua speranza si basa su azioni concrete, azioni dell’oggi e non del domani?
E come dice
papa Francesco… ognuno risponda per sé, in sé… ognuno risponda di sé… a se
stesso… e a Dio!

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