lunedì 12 maggio 2014

LE STAGIONI DEL CUORE

Lampedusa, Europa. La fabbrica della clandestinità

“Per istituire il proprio sé, cioè il «noi» che si autogoverna, l’Unione Europea istituisce frontiere e politiche dell’immigrazione. Senza dubbio, una delle offerte dell’Unione Europea ai paesi membri è: «Unisciti a noi e ti aiuteremo a vigilare sulle tue frontiere contro i lavoratori indesiderati. Ci assicureremo anche che tu possa avere quei lavoratori a basso costo e che loro entrino con uno status meno che legale. E non preoccuparti: la tua popolazione non si altererà in modo permanente». O ancora: «potremmo produrre una classe lavoratrice permanente per te»…”
[Judith Butler, "who sings the nation-state?"] 27 ottobre 2008 

Questa verità, a dir poco sconcertante, già declamata nel lontano (ma non troppo) 2008, è la spiegazione pratica di tutto quello che è successo in questi ultimi tempi: i naufragi, gli affondamenti, le frontiere aperte – ma condizionamente – i flussi migratori ‘’a tempo’’, cioè regolari secondo certi criteri politico-economici, le accoglienze, spesso fallimentari, le partenze forzate o ritardate, le burocrazie che altro non sono se non sintomi di una politica e di una cultura dell’interesse, frutto di accordi nazionali ed internazionali basati sull’uso improprio di ‘’merce umana’’ apparentemente clandestina, ma in realtà sempre sotto controllo da parte di organismi addetti al ‘’lavoro nero’’, a controllare quelle modalità di sfruttamento e di commercio ‘’della persona’’ che consente guadagni facili a chi muove tutta la struttura ‘’economica’’ sommersa, quel giro d’affari – per essere più chiari – illegalmente legalizzato o legalmente illegalizzato che dir si voglia.
C’è un universo sommerso o meglio ‘’apparentemente sommerso’’, ad opera di organismi socio-politici,  che giustificano tutto quanto accaduto in questi ultimi anni, c’è una logica perversa che guida e legalizza lo ‘’sfruttamento di carne umana’’, una ‘’nuova tratta degli schiavi’’, in una forma apparentemente casuale, ma in realtà ben organizzata alle spalle di chi soffre e spera che la mano che sembra porgerle aiuto sia sincera e sinceramente preoccupata del suo futuro. È un inganno. È un’illusione. È una truffa alle spalle di popolazioni già duramente provate da fame, carestia, guerre e persecuzioni e non c’è niente di peggio che l’infierire sulla pelle di chi è già stato messo a dura prova da eventi bellici di indicibile violenza.
Certo, tutto questo produce quel disincanto umanitario che molte volte vela queste situazioni e le fa apparire come ‘’azioni da buoni samaritani’’; in realtà dietro ad ogni intervento, qualunque sia la sua natura, si nasconde l’ombra della mafia legalizzata.
È pur vero, e questo va riconosciuto, che ci sono esempi di correttezza e di vero amore fraterno, di sincera preoccupazione per la vita di tanti profughi, sballottolati e messi a dura prova da tante vicende sociopolitiche nei Paesi di appartenenza; un esempio è la Casa-famiglia Lo scoiattolo, dove l’accoglienza è di casa e l’apertura umanitaria è la regola fondante e l’unico principio portante; altri esempi si colgono qua e là, soprattutto in strutture di natura religiosa.
Tanto per citarne una, possiamo far riferimento alla casa diocesana di AC, in Agrigento, che è diventata un centro di accoglienza per immigrati:

’Bussano alla porta, ma noi abbiamo poco o nulla da offrire. Mentre ci chiediamo perché tocchi a noi, dobbiamo scegliere: aprire o blindarci…’’ Massimo Muratore è il presidente di AC dell’arcidiocesi di Agrigento, nel cui territorio ricade Lampedusa, il simbolo degli sbarchi.
‘’Ma da quando è iniziata l’operazione Mare Nostrum -  spiega – l’emergenza si è spostata dalla costa alla terraferma. E la nostra sede diocesana è a ridosso della stazione di Agrigento, dove si aggregano decine e decine di disperati ogni giorno…’’
Un racconto che è l’inizio di un’esperienza concreta. ‘’Li vediamo passare a nugoli, derelitti, mentre facciamo le nostre riunioni. Un giorno, due, tre… poi la scossa: inutile stare qui seduti a parlare. Inizia una catena di solidarietà. I presidenti parrocchiali raccolgono e portano in sede coperte, asciugamani, scodelle. Ma non basta. Qualcuno ha bisogno di lavarsi e il centro ha una doccia. ‘’Rendiamola disponibile’’.
Un moto di solidarietà si trasforma in un servizio vero e proprio. Una decina di giovani si danno un’organizzazione.
Fanno i turni, servono presidi anche di notte per chi ha bisogno. Una sede snaturata?
‘’ No – sorride Muratore – è una sede che ora ha un’anima. Un letto e un bagno caldo restituiscono dignità’’.
L’arcivescovo di Agrigento è Francesco  Montenegro, presidente della commissione Cei per le migrazioni.
‘’E’ lui – conclude Muratore – a spingerci ad unire solidarietà ed elaborazione culturale. Abbiamo il compito di costruire un’idea di futuro che ci comprenda tutti, senza più ‘’noi’’e  ‘’loro’’. (M.I., da Avvenire 1.5.14).

Ecco il binomio della speranza vera: solidarietà ed elaborazione culturale’’.
Due necessità impellenti che potrebbero dare una svolta al nostro e al loro futuro; una risposta concreta alla ‘’cultura dello scarto’’ ed una testimonianza esemplare per la costruzione della ‘’cultura dell’inclusione, dell’accoglienza, dell’incontro.’’
Esperienze come questo non sono, per fortuna, tanto rare, ce ne sono diverse sparse sul suolo nazionale, risposte concrete ed attenzione reale all’altro che bussa alla nostra porta, proprio come dice il titolo dell’articolo sopra riportato ‘’Bussano alla porta e noi apriamo’’.
In questo mondo c’è chi bussa e c’è a chi tocca la decisione di aprire o meno la porta della propria casa e del proprio cuore: qualcuno apre, molti – tanti -  scelgono di non farlo, per paura, per indifferenza, per scarsa conoscenza delle reali situazioni di tanta gente che fugge dal mostro della guerra, per calcoli di natura economico-politici… sono purtroppo tanti i ‘’falsi samaritani’’, ma quei pochi che hanno il coraggio e l’amore per accogliere a cuore aperto i profughi, danno testimonianza esemplare dell’Amore cristiano ed umanitario, rispondendo a bisogni e richieste con azioni concrete e libere da pregiudizi e opportunismi.
Sicuramente occorrerebbero ‘’più don Giuseppe’’, più don Francesco, più presidenti e membri di associazioni, laiche e non…’’ ,più gente che si accorga del grido sommerso di intere popolazioni che vivono al limite o sotto il limite della decenza umana.
Sicuramente occorrerebbero più gesti concreti, che discorsi di circostanza; più amore fraterno che politiche di interesse e di esclusione, di espulsione, di sovversione, di manipolazione e sfruttamento della sofferenza e dei bisogni altrui.
Occorrerebbero tante cose che non sarebbero difficili da realizzare per dare risposte ai bisogni reali di tanta gente… occorrerebbe semplicemente rinnovare il cuore… ma questa rivoluzione, purtroppo, a quanto pare, è ben lontana dal verificarsi… il ‘’contagio dell’amore’’ si diffonde molto lentamente… sono tanti gli ostacoli che incontra, c’è chi vorrebbe addirittura debellarlo, considerandolo ‘’un attacco alle istituzioni’’; c’è chi vorrebbe negarlo, fermarlo con il vaccino ‘’dell’ antitrust’’, della lotta ferrea e costante alle libere iniziative, perché sottraggono forza-lavoro alle lobby internazionali.
Sono tante le reazioni al problema immigrazione: le risposte un po’ di meno; le soluzioni concrete ancor meno; resta, tuttavia, il fatto che la storia è fatta di uomini e dagli uomini… l’impegno dovrebbe essere quello di riuscire a considerarsi ancora ‘’uomini’’ dopo le scelte e le decisioni che ognuno prenderà in merito alla realtà che gli si pone davanti: san Martino, un santo conosciuto da tutti, dall’alto del suo cavallo e racchiuso nel suo mantello, in una giornata grigia di novembre, si trovò improvvisamente davanti un povero, nudo e affamato; avrebbe potuto ignorarlo, passare oltre, proseguire tranquillamente per la sua strada, evitare di ‘’contaminarsi’’ con la povertà umana; invece sguainò la sua spada, si tolse il mantello che lo riparava dal freddo, lo divise in parti uguali e ne porse metà al mendicante.
La sua nobiltà, ereditata per discendenza, si trasformò in nobiltà conquistata per dono, quella nobiltà che da quel momento in poi, appartenne solo a lui.
Il grigiore e la nebbia autunnale si dissolsero: il sole brillò fra le nuvole… l’estate si sostituì all’inverno che ormai incombeva.
Era il sole della Vita. Il Sole dell’Amore. Il Sole della Giustizia. Il Sole della Solidarietà.
Sta a noi, dunque, decidere se continuare a nasconderci dietro la nebbia che rende tutto grigio, tutto piatto, tutto immobile… oppure dare una mano al Sole perché torni a risplendere nel cielo di tutti.
È una scelta personale. È una decisione razionale.
È un modo di essere. Un modo di pensare. Un modo di vivere. Possiamo vivere immersi per sempre nell’autunno grigio e spento dei nostri giorni oppure immersi nel calore dinamico ed estivo dell’amore.
Possiamo decidere in quale stagione preferire vivere.
Quelli come don Giuseppe hanno scelto, per esempio, la primavera, cioè il tempo della rinascita, del germogliare di una vita nuova, della piantagione di semi nuovi capaci di dare vita a gesti duraturi e maturi, in vista di un sole che illumini e riscaldi sempre la vita di ciascuno come una ‘’eterna estate di san Martino’’.
A noi… la scelta, dunque, della stagione preferita:
la primavera: che annuncia il risveglio del cuore;
l’estate: che riscalda e illumina e prepara la festa del cuore;
l’autunno: che si curva su se stesso avvolto nel suo mantello grigio e stanco, rattoppato e poco utile anche a se stesso;
l’inverno: con il suo  gelo, che blocca la vitalità del cuore; che porta alla morte del seme; che rende inutile il  germe dell’amore ricevuto in dote all’inizio della propria vita.

La scelta è nostra.
I benefici sono degli altri.
I semi messi in campo sono frutti duraturi.
Soltanto il calore di un abbraccio può far risplendere il sole anche quando le nuvole dominano il cielo!

Occorrerebbe augurarsi una ‘’rinnovata estate di san Martino’’ nei nostri cuori annebbiati e ingrigiti, prossimi alla morte, ma sempre contenenti il germoglio dell’Amore!

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